Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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PdV Quinta partita

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2016 14:16
28/02/2015 09:53
 
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Signore della Guerra
LEWYN


Le operazioni di attracco stavano durando più del previsto. Il Principe Lewyn, contrariamente a quanto aveva consigliato il capitano della nave, aveva già fatto portare il proprio cavallo sul ponte in modo da raggiungere la Torre del Sole il più velocemente possibile.
Aveva odiato ogni singolo minuto di quel viaggio in nave verso casa.

Ci siamo imbarcati che la ribellione era appena sbocciata. Ora la guerra infuria per i Sette Regni e noi non ne sappiamo nulla.

Il Principe Oberyn, nemmeno lui famoso per la sua pazienza, aveva seguito l’esempio dello zio e si era fatto portare anche il suo cavallo. Ser Dalt e Lord Yronwood invece si erano dimostrati più accondiscendenti nei confronti delle richieste del capitano.

L’attracco era un’operazione molto caotica. Si sentono ordini abbaiati a destra e a manca. Funi e cime vengono lanciate dalla nave a terra, vengono gettati gli ormeggi. Gli uomini dell’equipaggio, uomini del Dorne, sono altrettanto ansiosi di conoscere le notizie dalla terraferma.

“I cervi hanno superato le marche dorniane.”

“I leoni marciano sull’altopiano.”

“Quali terre hanno preso?”

“Yronwood è caduta.”

A sentire queste parole, Lord Yronwood si fa scuro in volto. Si sporge oltre la murata rivolgendosi all’uomo che ha appena riportato la notizia. “Yronwood? Caduta? Ne siete certo?”

“Aye, milord. Ora il vessillo del cervo sventola sulle torri.”

“Che i Sette ci aiutino.” Non furono i Sette ma il nipote Deziel che gli si fece vicino ponendogli una mano sulla spalla.

I due cavalli sul ponte, all’aumentare del frastuono e della confusione, si fanno sempre più irrequieti. Il cavallo della Vipera Rossa, un brutto animale dal carattere simile a quello del padrone, scalciò nervoso. Uno dei marinai si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il rumore secco proveniente dalla gamba non lasciava presagire nulla di buono.
Il capitano si accigliò, ma non poteva di certo prendersela con i due principi Martell.

Lewyn lo anticipò.
“Quando scenderete a terra, parlate con il siniscalco di Lancia del Sole. Farò in modo che tu sia rimborsato per la perdita del servizio del tuo uomo, e il tuo uomo per la perdita temporanea dell’uso della gamba.”

Deziel, che invece aveva iniziato ad avere maggiore confidenza con i due dorniani di alto lignaggio dopo il loro lungo viaggio insieme, azzardò: “Forse è stata una scelta poco saggia quella di portare su i cavalli.”

Oberyn fece una smorfia di indifferenza: “Ai principi è concesso di fare ciò che più li aggrada.”

Finalmente la nave si stava fermando. Lewyn non voleva più attendere oltre.
Diede di speroni e fece saltare il cavallo oltre la murata sull’alto pontile di legno, mentre uno dei marinai a terra cadeva all’indietro per la sorpresa e dietro di lui risuonavano le risate di Oberyn.
Si lanciò al galoppo per le stradine strette che portavano all’Antico Palazzo, attraverso la città-ombra, mentre mercanti, dame di compagnia, bambini e uomini d’arme si spostavano ai lati per lasciarlo passare.






Suo nipote Doran era stato informato dell’arrivo della loro nave e li stava aspettando nella sala del trono della Torre del Sole, insieme con il siniscalco, il maestro d’armi e altri nobili grandi e piccoli.
Sul pavimento di marmo, i giochi di luce, riflessi dalla cupola d’oro decorata con vetro istoriato, erano uno spettacolo magnifico.
Finalmente a casa.

Attraversò il salone a grandi passi e mise un ginocchio a terra di fronte al trono della lancia su cui sedeva il Principe del Dorne.

“Rialzati pure Principe Lewyn. Sapevo saresti stato il primo ad arrivare. E immagino che mio fratello non tarderà a raggiungerci… salvo qualche deviazione lungo il percorso.”

Lewyn si alzò con un sorriso sul volto.
Doran fece un pigro gesto con la mano in direzione dei presenti. “Gentilmente. Lasciateci soli.”

In pochi minuti la sala si svuotò. Qualcuno uscendo lanciò dei brevi cenni di saluto a Lewyn, che ricambiò cortesemente.

“Quanto è grave la situazione?”

“Non così grave come pensano i nostri nemici. Come abbiamo scoperto, era un’operazione che era stata preparata da tempo. Ancora non me ne spiego i motivi.”

“Abbiamo perso le marche?”

“Sì, anche se non a caro prezzo. I dorniani hanno usato tattiche simili, in passato. Di fronte ad Aegon e i suoi draghi, i castelli e i forti furono lasciati vuoti. Sono soltanto vuote pietre. Nelle persone, nel nostro popolo, risiede la nostra vera forza. Se i Baratheon proveranno ad avanzare ulteriormente, le sabbie di Dorne si coloreranno del sangue del cervo.”

“Intendi fare azioni di guerriglia?”

“Questo li rallenterà un po’. Ho già chiamato a raccolta i vessilli di guerra e dato diverse disposizioni. Non sono così inattivo come si potrebbe pensare. Inoltre le guerre si vincono anche con penne e corvi, non solo con le lance.”

Lewyn si fece scuro in volto. “A questo proposito… Ho provato a seguire le indicazioni della tua lettera, ma temo fosse troppo tardi.”

“Era quello che temevo. Ciò che poi abbiamo scoperto lo ha reso ancora più evidente, ma era una strada che dovevo tentare.”

“Le tue spie a corte erano ben informate. Come mi avevi scritto, la nomina a cappa bianca è arrivata. Sono stato quasi dispiaciuto di doverla rifiutare.” Un sorriso ironico passò sul volto di Lewyn. “Come mi hai chiesto, ho provato a stringere un legame con il giovane Rhaegar, per guidarlo e consigliarlo, ma si è dimostrato fin troppo legato al padre.”

“Solo uno sciocco non ci avrebbe provato. O forse solo uno sciocco poteva sperarci.”

“Avrei fatto la stessa cosa, se ti è in qualche modo di conforto. Come procede la guerra per i nostri alleati?”

“Tywin Lannister si è dimostrato una volta di più un uomo da temere. Sta marciando verso sud, conquistando terre e castelli. Il fatto che Tyrell e Baratheon fossero in posizione per attaccare noi, li ha lasciati scoperti a nord.”

“È stato un bene che proprio i Lannister abbiano scoperto la cospirazione ai nostri danni, e che Lord Arryn abbia poi dato inizio alla rivolta.”

"Ho odiato ogni singolo secondo che ho passato su quella nave. Con il pensiero che stavano marciando su di noi, senza poter fare nulla per impedirlo."

"Le cose stanno per cambiare." Doran sollevò la testa con orgoglio. "Respingeremo l'invasore dalle nostre terre. Mai inchinati. Mai piegati. Mai spezzati."




[la storia continua QUI ]
[Modificato da Ser Arthur Dayne 28/02/2015 09:53]


Ser Arthur Dayne
The Sword of the Morning


«Tutti i cavalieri devono sanguinare.
È il sangue il sigillo della nostra devozione.»
03/03/2015 00:24
 
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Lord Howland Reed - L'Attesa ed i due Reed
Presso Ultimo Focolare

La partenza da grande inverno lasciò a Reed un senso di soddisfazione velato da una precoce nostalgia. Era soddisfatto di se stesso per come si era svolto il Giuramento, certo non era stato semplice intrattenere tutti i lord e convincerli a giurare fedeltà a Re Rickard. Spero almeno che siano stati tutti sinceri e sicuri di fare la cosa giusta. Illuso... Era andata bene, ma non era così ingenuo da pensare che tutti fossero già convinti del cambiamento. Per certo era stata un’incombenza snervante e da uomo del Nord c’era una parte di lui che odiava certe formalità e certi rituali da seguire in presenza di altri lord, ma quello stress e quell’impegno già gli mancava un po’. Una precoce nostalgia. Ma come, ti dà fastidio e ti manca? Illogico ma vero. Il Gioco del Trono, se anche limitato al Nord, era una droga per Lord Reed: vi ci sentiva a proprio agio come una rana in una palude, anzi se ne trascorreva troppo tempo fuori ne sentiva il bisogno, ad un anfibio rimasto troppo tempo fuori dalla propria pozzanghera si secca la pelle.

Una droga sì. Ma da prendersi a bassi dosaggi. Il Reed “barbaro” voleva la sua parte di quiete ed ozio e avrebbe strangolato il Reed “giocatore” se non gliel’avesse concessa. Un senso di soddisfazione velato da una precoce nostalgia. Ed un viaggio sereno.

Sereno, sia chiaro, nell’animo di Howland Reed di certo non dal punto di vista meteorologico. Erano partiti da Grande Inverno, lui in compagnia di Lord Jeor Mormont e di un piccolo contingente di soldati, accompagnati da una leggera nebbiolina carica di umidità: bel tempo. Ma per l’ora di pranzo già pioveva, il pomeriggio si aggiunse del vento gelido ed il tutto finì nella serata con pioggia e neve ghiacciata. Ed i giorni successivi gli ingredienti non fecero altro se non cambiare l’ordine d’apparizione.

Giunsero a Ultimo Focolare nel tardo pomeriggio di un giorno ricco di nevischio e nebbia. Forse faceva più freddo che a Grande Inverno, forse era solamente la suggestione della Barriera, ora così vicina. Il padrone di casa Lord Jon Umber, non era nel castello, era in viaggio da sud con Eddard. Furono accolti dai suoi zii Mors “Cibo di Corvo” e Hother “Flagello delle Puttane”, una coppia tanto spaventosa quanto pittoresca. Sembrava che gli abitanti di Ultimo Focolare così come la servitù del castello preferissero la barbarie di lord Jon piuttosto che la compagnia dei due zii. Uno, Mors, irascibile ed intrattabile, l’altro, Hother, misterioso e, secondo certe voci, crudele. La storia del primo la conoscevano tutti, di come un corvo gli avesse staccato un occhio mentre Mors Umber giaceva a lato di una strada, probabilmente sbronzo, ecco perché “Cibo di Corvo”. L’altro era meglio non chiamarlo con il soprannome “Flagello delle Puttane”, su come se lo fosse guadagnato, erano d’accordo tutti: aveva ucciso una puttana; l’elemento di divergenza dei vari racconti era proprio la puttana, i più parlavano di una prostituta mezza bruta, altri di una ragazza dell’Essos, altri, a voce più bassa, parlavano di un uomo, altri, i più fantasiosi, dicevano si trattasse di un’orsa. Due lord tutt’altro che noiosi, ed era proprio quello che ci voleva: avrebbero dovuto attendere, semplicemente attendere.
Il Re del Nord li aveva spediti a nord in preparazione alla guerra, ma nessuno avrebbe saputo dire quando i bruti avrebbero attaccato la barriera. Le notizie che giungevano da oltre il muro di ghiaccio erano spesso frammentarie e confuse, l’unico elemento che le accomunava era l’essere cattive notizie. Era solo questione di tempo il Re Lupo lo sapeva, così come lo aveva capito Reed. Pregare per il meglio e prepararsi per il peggio.

Per i soldati l’attesa ad Ultimo Focolare non era un problema: passavano le giornate ad allenarsi, senza affaticarsi troppo, e le notti a bere o a scopare o le due cose assieme.
Per Reed era diverso. Il “giocatore” voleva vederci più chiaro, voleva notizie dettagliate da nord, voleva agire. Il Nord era pronto a combattere e ne era piuttosto convinto, ciò che lui e gli uomini ignoravano era il loro nemico; cosa verrà giù? Una mandria di bruti armata fino ai denti? O un’orda di Estranei? O entrambe?
Doveva scoprirlo. Doveva mettersi in contatto con i Guardiani della Notte, sapere cosa sapevano. Doveva andare ancora più a nord per vedere con i propri occhi.

Questi i pensieri di Howland Reed durante la cena. Erano pochi lord oltre a lui attorno al tavolo, ma sufficienti a fare abbastanza trambusto da permettergli di non dover per forza dire la sua: bastavano i grugniti e le imprecazioni degli altri commensali. Fino a che Hother non lo svegliò.
“E così, lord Reed, siete diventato il primo consigliere del nuovo re…”
Non che mi dispiacerebbe. “Dovete aver ricevuto informazioni approssimativa lord Umber, sono solo stato inviato qui per un sopraluogo”
“Capisco. Ultimo Focolare non è zona di guerra. Che cosa siete venuto a controllare?”
No. Non ancora… “Semplicemente che le nostre truppe siano ben addestrate e rifocillate e naturalmente per riferire a lord Rickard del vostro ottimo operato come lord sostituti di Ultimo Focolare”
“Di certo ad un uomo-rana i nostri modi sembreranno brutali e scortesi…”
Un verso proveniente dall’altro lato del tavolo chiarì immediatamente “Noi siamo dei Giganti”. Era Mors Umber.
“Credo che facciate un ottimo lavoro. L’importante, in questo momento, sono i risultati non i metodi”
“I nostri uomini sono i più forti e temerari del nord!”. Proseguì il lord guercio.
“Non c’è dubbio mio signore. Ma sanno dove colpire un non morto? Sanno quali sembianze abbia un estraneo?”. Reed si era spazientito per quella diffidenza.
Un borbottio indecifrabile ed il silenzio che fecero proseguire il signore delle Acque Grigie.
“Ecco perché io e lord Mormont siamo qui. Questa guerra è da prepararsi nei dettagli, l’inverno si sta avvicinando e potrebbe non bastarci il solo coraggio questa volta”
Lord Mormont battè un pugno sul tavolo a sancire il suo assenso e lord Reed si alzò dal tavolo soddisfatto. Avevano messo le cose in chiaro: non era il momento di fare a gara a chi ce l’aveva più lungo.

Mentre rientrava alla propria stanza tutta legno e pietra il “barbaro” si fece sentire. Troppe discussioni e troppi pensieri quella sera; doveva sfogarsi. Una deviazione lo condusse verso gli alloggi della servitù. Aveva notato una ragazza rossiccia che serviva da bere. La trovò dove la stava cercando e se la tirò dietro in camera, lui aveva un impellente bisogno di soddisfare quel bisogno primordiale e lei era curiosa di conoscere come se la sarebbe cavata una rana, per lei che era abituata a vedersela con uomini massicci, pelosi e ubriachi.

Più tardi quella notte la giovane Astrid dormiva nuda e serena sotto la pelliccia d’orso bianco che copriva il letto di Reed. Il lord, nudo a sua volta, sedeva allo scrittoio a lume di candela, scriveva al comandante dei Guardiani della Notte. Lo scopo della missiva era incontrare Qorgoyle o almeno condividere con lui le proprie preoccupazioni e le proprie conoscenze.
Il “giocatore” contemplava soddisfatto il repentino prevaricamento della parte animalesca, il “barbaro”, dal canto suo, aspettava sornione: «Tanto prima dell’alba un’altra botta le la diamo! Vero Howland?»
Ci mancava solamente la vocina da dentro! Per gli Dei! Sospirò lord Reed. Ma guardò alle proprie spalle e vide la giovane che rigirandosi nel sonno aveva scoperto le proprie grazie. Per questa volta mi sa che le darò retta!



[Modificato da Il Mastino.95 03/03/2015 08:50]



Lord Howland Reed della Torre delle Acque Grigie

03/03/2015 09:43
 
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Lord Feudatario
Rickard Stark III - Tutto è ruolo

Rickard Stark stava pensando all'ultimo incontro con Jon Arryn.
Gli aveva personalmente letto il trattato che era stato firmato dalle altre casate che si erano poi unite a lui nella ribellione alla follia di Aerys.
Lo aveva letto due volte -o forse erano tre?- vincendo la riluttanza del Re della Montagna a tale atto: il vecchio amico era troppo adirato per quanto era successo e voleva suggellare il patto il prima possibile, forse ripensandoci era perfino impaziente di firmare.
Intuendo lo stato d'animo del vecchio amico, Rickard aveva addirittura proposto a Jon che, qualora avesse avuto un ripensamento, si poteva parlare di sciogliere il trattato e far rientrare le proprie truppe in pace nei propri domini senza pagare il dissenso della popolazione e senza far rompere le leggi dell’ospitalità ai soldati presenti in casa d’altri.
Da quel momento in poi epistole, staffette e discussioni si erano susseguiti fitti tra i Lord dichiarati “ribelli”.
Rickard Stark, in tutto questo, aveva sempre cercato di essere umile. Aveva provato a fare da paciere, da garante, da amico, da padre, da fratello, da generale, ma evidentemente questo non era bastato: lui non era bastato.

La risposta che Jon Arryn aveva mandato al corvo di suo figlio Ned ne era l’accusa e la prova. Anche se, oltre a provare l’inadeguatezza del Re del Nord nel frangente politico, provava anche la doppiezza e la mendacia del Re della Montagna. E questo straziava il suo cuore.
Arryn lo accusava di non aver mandato truppe al fronte quando lui stesso era tra i sostenitori più vigorosi di un impiego diverso delle truppe del Metalupo, truppe dichiarate inadeguate in numero e in potenza per la loro missione, truppe che stavano aspettando di essere rinforzate, tra gli altri, da esperti cavalieri della Valle che mai hanno messo piede in territorio Stark. Forse perché questuavano anche a Lord Frey di non pagare il guado? Perché allora un’armatura d’oro per un Re così tirchio?

In alto quanto l’Onore!
Mai l’onore aveva volato così basso.
Bere allo stesso tavolo, mangiare lo stesso cibo, condividere gli stessi ideali per un mondo migliore, per poi cosa?
Jon Arryn, l’uomo a cui lui aveva affidato suo figlio, l’uomo che per lui era il simbolo e l’araldo dell’Onore nel mondo, l’uomo che aveva sempre ammirato come il migliore e il primo di tutti i cavalieri, aveva dato l’ordine ai suoi soldati di infrangere le leggi dell’ospitalità in cinque città del Reggente dei Fiumi e a Città del Gabbiano.
Mai si sarebbe aspettato che quell’uomo, quel grandissimo amico, avesse potuto infrangere le leggi dell’ospitalità, degli Dei, ma soprattutto le leggi dell’Onore.
Ma che ne era stato del Jon Arryn che lui tanto aveva stimato e amato? Un uomo, un cavaliere e un Re del suo calibro avrebbe prima dichiarato guerra e poi avrebbe attaccato. Non avrebbe attaccato le truppe della Trota dall’interno delle loro case, avrebbe richiamato i suoi uomini e poi avrebbe attaccato le città.

Inoltre, il porto della Valle era stato la tomba per sessantasei uomini del Nord. Uomini mossi soltanto dal richiamo verso l’Onore che casa Arryn portava insieme ai suoi vessilli. Marinai che erano stati chiamati a servire la causa comune invece che andare a supportare il fronte nord. Sessantacinque famiglie in lacrime, sessantacinque famiglie sanguinanti, una addirittura per due perdite, sessantacinque famiglie che chiedevano vendetta e pregavano gli Dei per la Giustizia laddove l’Onore aveva fallito.
Sessantasei Uomini da Porto Bianco si erano imbarcati per vivere un mese in nave con gli allora fratelli della Valle. Nessuno avrebbe mai fatto rientro.
Rickard Stark pregava gli Dei, finalmente davanti al suo albero del cuore, e per loro, davanti a loro e -forse illudendosi- con loro, ragionava e riviveva tutto quello che era stato da quando aveva lasciato Harrenal sei settimane addietro.

Era giunto al calar delle tenebre a quella casa costruita dai suoi avi. Era giunto a cavallo, al galoppo, come aveva vissuto le ultime settimane.
Aveva abbracciato suo figlio Brandon, come si fa tra uomini del nord, che gli aveva restituito Ghiaccio, lucida come non mai, e la corona di bronzo e ferro che indossò per la prima volta e, forse per la prima volta, sentì quanto era realmente pesante quel fardello.
Si era diretto, immediatamente dopo, al Parco degli Dei mentre Maestro Walys lo seguiva parlando a una velocità eccezionale narrandogli per filo e per segno gli ultimi mesi di vita di Grande Inverno.
Si fece portare tutto il necessario per curare la spada degli Stark, anche se non ce n’era affatto bisogno. Si sedette nell’abbraccio del suo albero del cuore e ricominciò da dov’era partito: quando ancora era un Lord Protettore, fedele a Re Aerys Targaryen, secondo nel suo nome, diciassettesimo Re dei Sette Regni.

Ripensò all’andata e al ritorno, al suo sogno quella notte nelle paludi, a quanto l’albero gli aveva detto: era forse possibile? Perché allora il suo albero non gli stava ancora parlando? Aveva veramente creduto che, non appena fosse ritornato nel suo parco degli Dei, l’albero si sarebbe animato salutandolo come aveva fatto poco prima con suo figlio maggiore?
Forse tutto questo era spiegabile: forse la follia di Aerys si era quindi rivelata essere contagiosa. E da qui anche il comportamento di Jon si spiegava: alla fine lui era stato molto tempo vicino ad Aerys ad Harrenal.
Lo sguardo fisso in quegli occhi scavati, le mani sapienti ed esperte che si muovevano su e giù lungo la lama di quello spadone a un millimetro dal letale filo, il tocco dell’erba e la mente scollegata dalla realtà, Rickard Stark sembrava uno spettro in quel parco silenzioso e tetro.
La notte avanzava e le sue preghiere e le sue riflessioni correvano con lei.
Quando vide la bocca del volto intagliato sull’albero piegarsi per schiudersi, si svegliò.
L’uomo del Nord si alzò da quella seduta appoggiandosi all’albero e soffermandosi per un attimo estremamente lungo con la mano posata accanto a quel volto con gli occhi fissi in quelle cavità che parevano leggergli dentro. Poi si diresse alle sue stanze, prese carta e penna e cominciò a scrivere:

Caro Jon, amico mio...

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Nella sesta partita, Ryen -Master-

Nella quinta partita, Lord Rickard Stark -Protettore del Nord e della Tempesta-

Nella quarta partita, Varamyr Seipelli - "Vivrò per sempre nello spirito della Foresta"

15/03/2015 23:41
 
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Consigliere del Re
Quel giorno vidi il sole sorgere ad oriente, dalle mura di Delta delle Acque la visione delle terre dei fiumi era magnifica; boschi fin dove occhio poteva vedere.
Stetti li per un po’ di tempo, la tunica era ormai lercia, sentiva anche lei la pesantezza dei lunghi giorni di marcia che avevano preceduto la marcia. Per lunghe settimane avevamo marciato risalendo la strada che costeggiava il mare d’occidente. Avevamo marciato sull’altopiano e poi eravamo arrivati nelle terre montuose della Danna Dorata e da li a Delta.
Quando scesi dalle mura il sole aveva appena iniziato il suo viaggio verso il cielo.
Mi diressi verso l’accampamento dove i miei ufficiali avevano iniziato a far preparare la truppa alla marcia; i fanti erano quasi pronti, mentre i picchieri erano indaffarati a vestire le loro corazze.
Il grigio dell’acciaio dominava nel campo, grigie le corazze, grigi gli uomini e grigie le armi, le uniche cose dorate erano le bandiere che ben presto si sarebbero innalzate sulle terre dei fiumi.
Entrai nella mia tenda.
Li mi aspettava la mia armatura, le mie armi e il mio scudo. Aprii una cassa in mogano, tirai fuori la tunica di cuoio, me la infilai e strinsi uno ad uno il lacci. Tirai fuori la cotta di maglia e con l’aiuto di un ragazzino, chiuse tutti i lacci e uscii in silenzio.
Prepararmi per la battaglia era diventato un rituale, un silenzioso rituale di raccoglimento e di meditazione. I pensieri volavano ai grandi luoghi in cui avevo combattuto, volavano ai teschi dorati dei comandanti morti, al fatto che ben presto anche il mio si sarebbe aggiunto a quelli.
La mia armatura mi stava aspettando, un richiamo silenzioso, un rischiamo seducente, quasi ipnotico che diceva, ”sono qui, vieni a me, tu mi appartieni”.
Presi le protezioni per le gambe e le cosce, strinsi i lacci e chiusi le fibbie, presi uno stiletto e lo nascosi nello stivale. Quante volte mi aveva salvato la vita quella lama nascosta? Non saprei dirlo, ma più di una di sicuro.
Presi la placca toracica e la calai dalla testa, quella era nuova, l’avevo fatta forgiare nelle grandi fucine di Pentos, sul petto erano incisi i tre teschi simbolo della compagnia, nessun altro ornamento andava a rovinare quello splendido metallo. Erano ben pochi i graffi, perché ben pochi erano mai riusciti a colpirmi. I lacci sui fianchi gli strinsi con qualche difficoltà e coprii la giuntura con delle lamine leggere di metallo.
Seguirono le protezioni per le braccia, ebbi bisogno di aiuto per indossarle.
Quando finii entrò un ufficiale Tully che mi disse che con noi sarebbero venuti trentamila uomini dei signori dei fiumi.
Decisi che quell’armatura era inutile e in pochissimo tempo me la tolsi.
Indossai una più leggera armatura di lamine d’acciaio invece dell’armatura a piastre pesanti.
Presi la mia spada, non l’avevo mai cambiata, ma era stata riforaggiata ben due volte, ma l’elsa portava sempre la medesima scritta: io sono qui che ti attendo. Un monito di una vecchia amica, di cui un tempo avevo paura, ma ora avevo imparato a rispettare, e che un giorno avrei incontrato.
Legai la spada alla schiena assieme ad una frusta di morbido cuoio. Da giovane non avrei mai creduto che un semplice pezzo di cuoio avrebbe potuto essere così letale.
L’elmo aveva le fattezze di un teschio, quale fantasia, copriva la nuca e le guance con una protezione per il naso, ma aveva grande visibilità.
Uscii dalla tenda e diedi l’ordine di smontare l’intero accampamento e così verso metà mattina fummo in grado di muoverci.
Montai a cavallo e diedi l’ordine di far suonare il corno e di disporsi in formazione da battaglia.
La compagnia si mosse, il passo pesante faceva cozzare acciaio contro acciaio, la formazione serrata ci rendeva simili ad un gigantesco serpente metallico. Le bandiere sventolavano davanti ad ogni compagnia, le tre colonne erano in perfetta sincronia tra loro e gli scout arrivavano a me riferendomi sempre la stessa storia, nessuna attività ostile.
Arrivammo a meno di mezza giornata di marcia da Lord Hoarrow’s Town quando diedi l’ordine di far suonare i tamburi.
I tamburi avrebbero scandito il dispiegamento delle truppe.
I cupi tamburi riempivano l’aria di una musica di morte, ad essi si aggiunsero le argentee trombe degli araldi di casa Tully.
I due eserciti avevano viaggiato separati, ci eravamo messi a protezione del fianco destro della colonna Tully ben più numerosa ma meno ordinata nella marcia.
Il suono dei tamburi accelerò sempre più fino ad arrestarsi bruscamente quando le truppe furono dispiegate.
In prima linea lo scorpione era pronto ad facilitare l’ingresso delle truppe nella piccola cittadina.
Le porte vennero sfondate da un ariete raffazzonato al momento.
Il corno risuonò e gli uomini si lanciarono verso il portale, un unico grido si levò al cielo, un unico grido formato da migliaia di voci: “Morte al nemico”.
Le urla andarono scemando man mano che gli uomini entravano.
Con il mio cavallo puntai il portale e lo passai al galoppo seguito dalla mia guardia personale.
Lo stupore mi attanagliò, nessun soldato era presente, solo occhi che mi seguivano dalle finestre delle case, solo occhi che mi seguivano da nascondigli improvvisati.
Donne, bambini e vecchi erano talmente impauriti che non avevano nemmeno le forze di scappare.
Vidi alcuni uomini che sfondavano le porte delle case e trascinavano fuori i popolani terrorizzati; alcune donne ormai si erano rassegnate all’idea di essere stuprate, altre ancora combattevano.
Feci suonare il corno per segnare la vittoria. Un possente e lungo soffio avrebbe richiamato gli uomini all’ordine, nessuno avrebbe fatto nulla senza ordini.
Mi avventurai con la mia guardia verso il centro della cittadina, e li trovai circa duecento popolani che imbracciavano le armi sotto uno stendardo Arryn.
Speronammo i nostri cavalli e caricammo contro quei soldati improvvisati, e le lame di spade, mazze, martelli, lance e arakh.
Di quei poveri soldati improvvisati alla fine della carica non ne rimase nemmeno uno in vita.
Mi sarei aspettato un’imponente esercito nemico a difesa di un guado così importante, ma oltre a quei pochi soldati non vi era nessun altro.
Senza che nessun ordine fosse impartito la bandiera della compagnia venne issata sul torrione del castello e sulle mura, affianco ad essa e più in alto venne issata la trota argentea dei signori dei fiumi.
La sera stava calando quando la pira iniziò a bruciare, nessun caduto per la compagnia, il che era un bene, ma non era l’inizio che speravo.
Ero perso a guardare le fiamme della pira quando Caspor venne a chiamarmi; disse che aveva delle cose urgenti di cui parlare.
Entrammo nella locanda che avevamo adibito a quartier generale, ci sedemmo ad un tavolo e iniziammo a discutere:
“Siamo stati fortunati signore, nelle segrete di questo buco di castello abbiamo trovato un sacco di materiale bellico come cotte di maglia, olii per lucidare le armature, coti per affilare le lame e una montagna di cibo per sfamare l’armata”
Era una buona notizia, almeno questo mese ci saremmo risparmiati un ingente esporsi di oro.
“Questa è un’ottima notizia amico mio” non avevo fatto molto quel giorno, ma l’aria che si respirava era pesante, densa, il fumo riempiva l’aria e la rendeva acre, e tutte queste cose mi rendevano più stanco del solito.
“Inoltre alcuni scout mi hanno riferito che una piccola compagnia di ventura, o almeno loro si fanno chiamare così è accampata a meno di mezza giornata di cavallo da qui. Direi che sarebbe il caso di far loro una visita. Sono circa duemila uomini tra fanti arcieri e cavalleggeri, li guida un guitto che si fa chiamare il figlio del guerriero. Lui è sicuramente un guitto, ma gli uomini che sono con lui sembrano a posto, potremmo persuaderli che è meglio che si uniscano a noi se vogliono continuare a vedere il mondo”
“Potremmo andare a trovarli, domattina prima dell’alba ci muoviamo con l’intera cavalleria e li accerchiamo, così saremo più persuasivi” L’idea di far entrare altri uomini nella compagnia era sempre ben accetta, soprattutto se erano già addestrati alle armi.
La discussone finì li, uscii dal locale in cerca di una bella donna volenterosa di scaldarmi il letto per quella notte.
Prima dell’alba vennero a svegliarmi, mi vestii e prima di uscire lascia una moneta d’oro alla ragazza che dormiva ancora nuda nel letto della locanda. Un dragone ben meritato.
Montai a cavallo e con il corpo di cavalleria mi diressi verso l’accampamento di questi sedicenti mercenari.
Quando arrivammo li trovammo ancora mezzi addormentati e incapaci di realizzare cosa stesse realmente accadendo. Alcuni se ne vennero fuori con esclamazioni del tipo “Finalmente un cavalieri che si uniscono a noi” altri con “Bene bene, altri sbarbatelli che si uniscono a noi”. Quando videro le bandiere dorate e i teschi che le adornavano capirono e andarono a svegliare il capitano.
“Cosa volete stupidi inetti, stavo dormendo beatamente” il sedicente figlio del guerriero era un ex fabbro, le braccia en muscolose, le spalle ampie ed era molto più alto di me.
“Sei tu che chiamano il figlio del guerriero?” posi la domanda quasi annoiato, non era la prima volta che dovevo persuadere qualcuno a combattere per me.
“Chi è al comando qui? Non sarai tu piccoletto?” era evidente che si stava infuriando.
“Sono io al comando si, parla con me. Ascoltami, e potresti trarne beneficio”
“Se vuoi unirti alla gloriosa compagnia dei figli del guerriero se ben accetto, se hai conio per pagare i nostri servigi sei ben accetto, altrimenti vattene prima che decida di ammazzarti.” Ora era visibilmente arrabbiato. Il viso si era fatto livido, le vene sul collo si vedevano pulsare distintamente ed il tono di voce era alterato.
“Non diciamo cagate, fatti da parte. La storia andrà così: tu ora torni nella fucina da cui sei saltato fuori, e li ci resti per il resto della tua miserabile vita, i tuoi uomini vengono via con me e sono loro ad unirsi a me e non il contrario. Ti suona bene?” Ora io ero veramente annoiato, mai nessuno che abbia il buon senso di tornarsene a casa con la testa attaccata al collo. Sarà stato anche un capitano ma era l’unico che ancora non aveva capito chi eravamo.
“Ascolta nanerottolo, ora stai esagerando.” Finì la frase e sguainò una vecchia spada arrugginita. Calò un fendente dall’alto, lo schivai con facilità. Probabilmente avrà pensato che avrei usato la spada che mi pendeva dal fianco, e vista la sua statura sarebbe stato semplice ammazzarmi.
Sfortunatamente per lui avevo la frusta legata alla schiena e con un rapido gesto guizzò nell’aria schioccando.
Indietreggiò sorpreso, non si aspettava una frusta.
Continuai a farla schioccare, ora vicino all’orecchio desto ora più lontano dal suo corpo, non capiva da dove arrivava, non sapeva prevedere da dove sarebbe arrivata la prossima sferzata.
La prima sferzata diretta che gli tirai lacerò completamente il giustacuore che indossava lasciandolo a torso nudo. Aveva preso a indietreggiare cercando di raggiungere una lancia o un’arma lunga. La seconda gli arrivo al braccio della spada facendogliela cadere. Poi mi misi a giocare con lui, lo feci saltellare di qua e di la facendo schioccare la frusta prima vicino e poi lontano, da destra e da sinistra. Era ormai terrorizzato dal fatto di non sapere come affrontare un’arma come quella che avevo in mano.
Continuai a giocarci fin quando una frustata gli arrivò in pieno petto e glielo lacerò strappando anche piccoli pezzetti di carne.
Mi stufai e l’ultima frustata andò ad arrotolarsi attorno alla sua gola, strattonai per farlo cadere in ginocchio, strattonai per stringere la presa, strattonai fino a far diventare la faccia prima rossa poi viola e poi finché non spirò.
Morto quel guitto Caspor parlò agli uomini che si erano ormai radunati tutti li intorno.
Entro metà mattina gli ebbe convinti tutti ad unirsi a me.
Si unirono tutti meno che gli ex ufficiali che feci impiccare ad un albero. Non mi era mai piaciuta l’idea di avere ex ufficiali nella bassa truppa. Creavano sempre problemi.
Tornammo all’accampamento, feci firmare loro il libro mastro e vennero inseriti nei reparti in base alle loro capacità. Tutti erano stati armati con l’acciaio della compagnia. E come ad ogni soldato che si univa a noi erano state ripetute le conseguenze di un qualsiasi tradimento. Sarebbero morti per mano della compagnia, e sarebbero morti male.
Prima di mezzo giorno ci mettemmo in marcia, non era un luogo sicuro dove stare. In marcia verso nuove battaglie.





BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque










NEL GIOCO DEL TRONO:
Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata
25/03/2015 14:36
 
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Rickard Stark IV – Silenzi e parole

Silenzio.
Ecco che cosa regnava nel Parco degli Dei: il Silenzio.
Quell’albero che aveva visto muoversi, quell’albero che aveva udito parlare, ora, era immobile come la fredda e morta roccia davanti ai suoi occhi.
Ma come potrebbe essere altrimenti? Maledizione!
Anche lo scorrere dell’acqua e il fruscio delle foglie avevano perduto la loro identità. Rickard Stark era sordo a tutti questi suoni del mondo che lo aveva generato: era in ascolto di quelle voci che non vengono dalle cose.
Sta forse qui il mio errore? Si chiese nell’immobilità del suo Parco. Come possono le mie orecchie udire suoni di un altro mondo? La mia ricerca è vana poiché è sbagliato il come voglio udire!
Si alzò, sorridendo. Si sentiva come se avesse risolto il massimo problema che lo attanagliava in quei tristi momenti della sua vita. Appena uscito, trovò Maestro Walys e capì che si sbagliava ancora una volta.
“Mio signore,” lo salutò il maestro “pessime notizie dalla Barriera…”
“Quando mai sono arrivate buone notizie a Grande inverno negli ultimi mesi, Walyn?” rispose il Re del Nord interrompendolo. “E quando mai sono arrivate buone notizie dalla Barriera?” incalzò con una punta di asprezza nella voce.
Il Maestro lo guardò un po’ risentito, così lo Stark aggiunse:
“Scusami Walyn, che gli Dei mi siano testimoni, ho un demonio per capello! Non volevo prendermela con te e capisco che solo così potevi parlarmi. Ma, maledizione, non ne va bene una!”
“Re Rickard, capisco benissimo e le notizie che sono giunte non faranno che aumentare la vostra pena… Oltre ad aumentare le pene degli uomini, ma, come avete detto, non ho altro modo che rivolgerle a voi. Il mio compito è solo servire.” rispose il Maestro.
“E lo fai anche molto bene Walyn, coraggio allora, queste notizie?”
Il Maestro gli raccontò del corvo arrivato quella mattina, di quello che stava succedendo a Forte Orientale, ancora una volta. Delle migliaia di persone che quella magia gelida e oscura che vive nelle Terre dell’eterno inverno aveva per sempre strappato alla vita e che rischiavano anch’esse di diventare dei morti che camminano al soldo di quei gelidi burattinai.
Lord Mormont e Lord Reed potevano benissimo trovarsi li in questo momento e avrebbero potuto diventare i generali di quell’orda di demoni.
“Dei, aiutateci…” fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di doversi sedere.
Dopo minuti che sembravano non passare mai, Re Stark si era ritrovato. Andò con Walys nella torretta dei maestri per vedere di scrivere qualcosa ai suoi amici e lord nel Nord in visita alla Barriera.

Re Rickard consumava un pasto frugale da solo nelle serre di vetro. Aveva un pane nero ai cereali e birra d’orzo scuro con troppo luppolo per le persone normali. Aveva anche trovato un paio di frutti maturi, sfuggiti alla raccolta, e mangiò anche quelli.
Solitamente preferiva la solitudine e ora che si sentiva così vicino alle risposte che stava cercando, si stava mantenendo apposta lontano dalle persone. Soltanto il Maestro non interrompeva le sue riflessioni o le sue preghiere o il suo qualunque-cosa-stesse-facendo.
Dopo aver mangiato, tornò al Parco degli Dei. Senza esserne totalmente cosciente, andò nell’angolo nord-est del Parco, sopra le Cripte. A un metro e mezzo l’uno dall’altro, sotterrò i due semi dei due frutti che aveva mangiato poco prima.
Sfilò davanti all’albero del cuore, ma passò oltre trovandosi sulla sponda di uno dei laghetti di acqua termale. Dopo aver appoggiato Ghiaccio al muro del quartiere degli ospiti coperto di muschio verde e soffice, si tolse i vestiti e si immerse nell’acqua calda.
Da dove si trovava, era comunque in grado di vedere l’albero.
L’acqua calda che lo abbracciava e la densa birra scura e fredda che lo allietava dal suo stomaco gli fecero pensare a quanto quella situazione era esattamente l’opposto di come aveva vissuto tutta la sua vita e di come vivessero tutti gli uomini a nord dell’incollatura. Di solito il gelo lo abbracciava e ghermiva il suo corpo mentre bramava qualcosa di caldo da mandare nelle viscere per potersi scaldare.
Forse questo è un piccolo assaggio di paradosso di com’è la vita negli altri regni.
L’iniziale sensazione di benessere, subito provata immergendosi in quella polla, aveva lasciato il posto a un’irrequietezza fastidiosa e cinica dopo quel ragionamento.
Uscì quindi dall’acqua e vuotò il suo boccale per tornare, nudo e bagnato, a guardare negli occhi quel volto inciso nella corteccia bianca.
In quella posa ogni suo senso era portato al massimo, ogni suo muscolo era teso e reagiva alla minima increspatura dell’aria: non c’era un suono, non c’era un odore, non c’era un colore o un movimento che, in quel momento, avrebbe potuto coglierlo di sorpresa.
E fu così, che la bocca di quell’albero si increspò da un lato in un sorriso forse cinico o forse compiaciuto per una frazione di secondo e una lacrima di resina si staccò dal tronco e cadde al suolo. Oppure si era immaginato tutto.

Rickard Stark uscì qualche minuto dopo, rivestito e con la spada lucida nel fodero, per recarsi alla torretta dei maestri.
“Maestro Walys,” esordì il Re del Nord entrando e suscitando nel vecchio amico un sussulto per lo sgomento, “non ci crederete ma questa volta ho io delle notizie per voi. Forza prendete l’inchiostro e una pergamena nuova, dovete scrivere per me.”
“A chi, mio Signore?” rispose il maestro con una mano al petto per assicurarsi che il cuore rallentasse, ma contento di questa ritrovata vitalità di Rickard.
“Prendi la pergamena e sarà la prima cosa che scriverai, amico mio.” disse il Re.
“Dove la dobbiamo mandare, mio Signore?” incalzò il vecchio maestro mentre si accigliava a prendere quanto dovuto, ma sempre con una mano al petto.
“Che gli Dei…” cominciò Rickard con voce tonante per poi farsi più lieve nel proseguimento della frase “…ti proteggano, Walyn, se non la smetterai di farmi domande stupide.”
Il Re del Nord guardò negli occhi il maestro e, insieme, sorrisero della loro strana amicizia.


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Nella sesta partita, Ryen -Master-

Nella quinta partita, Lord Rickard Stark -Protettore del Nord e della Tempesta-

Nella quarta partita, Varamyr Seipelli - "Vivrò per sempre nello spirito della Foresta"

17/04/2015 00:11
 
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Rhaegar III - Sullo scranno del Reggente

Nei giorni antecedenti alla battaglia

Le lame si incrociarono per l'ennesima volta, l'acciaio strideva e il sudore colava. Arthur Dayne e Rhaegar Targaryen misurarono ancora una volta le loro abilità prima del calar del sole. E fu proprio in quell'ultimo, feroce scontro che il Re ebbe la meglio, riuscendo, finalmente, ad atterrare e disarmare il suo fedele compagno e amico.
Stanchi e affaticati si concessero una serata di riposo, alla loro bettola, con gli amici d'una volta, con gli amori d'una volta... La Spada dell'Alba sapeva bene cosa serviva a Rhaegar per prepararsi alla battaglia e non era di certo una giornata di allenamento incessante.
Quella notte non mancò la musica e non mancò il vino... E, ancora una volta, Arthur dovette trascinare il suo re dentro la fortezza... E come ogni volta, il cavaliere era felice. Passava il tempo a girare per i vuoti corridoi di Approdo, Harrenhal o qualsiasi altra fortezza che ospitasse il deretano di Rhaegar. Preferiva vagare ascoltando i suoi pensieri che osservare il giovane drago dietro alla scrivania, intento nel leggere lettere, studiare mappe e scrivere. Era ormai un raro episodio quell'estro che il re aveva dimostrato alla taverna... Che siano stati i fumi dell'alcool o ricordi d'infanzia, l'indomani il Re si sarebbe svegliato sorridendo.
E così fu, anzi, Rhaegar, la mattina seguente, rideva fragorosamente osservando una pergamena da poco arrivata. Parole che raccontavano un prossimo matrimonio... Cercei Lannister avrebbe condiviso il letto d'un uomo avente più del doppio dei suoi anni... Un uomo con cui il Re d'Argento aveva avuto modo di conoscere... Lewyn Martell...
In preda ad un buon umore contagioso, decise di rileggere le parole scambiate con la leonessa. Rise ancora... " Povera Cercei... " si disse pensando a che tipo di uomo fosse Lewyn... Certamente inadatto ad una ragazza così determinata e scaltra... Il dorniano non spiccava né per intelligenza né per astuzia. Era un burattino come molti e la leonessa l'avrebbe capito. " Oh Cercei, capirai anche che non sarà lui a portarti la mia testa. E anche se lo facesse, piangeresti per ciò che ti sei illusa di poter avere. E per ciò che realizzerai avere. "
L'amore è una forza troppo grande per essere spazzata via dal nulla, l'odio stesso non poteva assolvere questo compito. E ben lo sapeva Rhaegar, che, nonostante tutto, non riusciva ancora ad odiare il metalupo... E come lui, neanche Cercei sarebbe riuscita ad odiare quel drago di cui si era innamorata da infante...
Un velo di malinconia solcò il sorriso del Giovane Drago. Gli dispiaceva per la leonessa, perché, nonostante tutto, era forte e avrebbe desiderato incontrarla di nuovo, soprattutto ora, che iniziava ad essere donna.
<< La prima vittima della guerra, è l'amore, amico mio... >> disse il Re alla Spada dell'Alba.
E Arthur ascoltò la storia di Cercei... Rise anche lui...

La Battaglia

Il divertimento si eclissò pochi giorni dopo. Re e guardia erano di nuovo l'uno di fianco all'altro, tuttavia, alle loro spalle, un esercito marciava compatto. La sagoma del castello Tully comparve all'orizzonte e Rhaegar alzò la mano.
<< Davanti a me vedo guerrieri, vedo soldati, vedo uomini pronti alla morte. >> esordì. << Ma oggi non morirà nessuno. Il prode Lord Hoster Tully ha lasciato la sua fortezza in balia del vento. Oggi casa Targaryen mostrerà a tutti la sua forza. Voi uomini, siete pronti a scrivere una pagina di storia insieme a me? Non vi trattengo, anzi. Vi invito ad andarvene se desiderate. Ma avete avuto il coraggio di seguirmi fino a qua e ora, andiamo fino in fondo. Gli Dei sono con noi! >>
Non fu uno dei suoi discorsi più brillanti, ma i suoi uomini urlarono in coro il suo nome. E mentre risuonò il " Rhaegar " della folla, il Re d'Argento scambiò una rapida occhiata con Oswell Whent e Arthur Dayne, poi partì.
Il sangue del drago si fece sentire. Il battito accelerò, la spada iniziò a fremere. La furia del re si abbatté sui pochi soldati lasciati dal vile Tully in difesa della sua casa.
L'esponenziale grandezza dell'esercito del re non ebbe alcuna difficoltà a giustiziare quei poveri soldati lasciati al macello. Ma Rhaegar sarebbe bastato. Nel suo braccio scorreva il fuoco di Aegon il Conquistore...

Il Giorno Dopo

Il Re trovò il materiale per scrivere e passò l'intera giornata sommerso da inchiostro e lettere.
Scrisse agli alleati per informargli del successo, scrisse ai lord circostanti, invitandoli a non compiere stupide azioni, scrisse perfino a Lord Tully.

Lord Tully,
poggio ora il mio corpo su quello che era il vostro scranno, sul posto dal quale avete elargito saggezza e virtù. E voi siete chissà dove a gioire dei successi dei vostri alleati, ma casa vostra è ormai perduta...

E continuò fino a riempire due pergamene complete. Era tentato di scrivere anche a Cercei e Lewyn, per congratularsi, poi si rese conto che, forse, il suo sottile umorismo non sarebbe stato apprezzato.

La sera, accarezzò il fiore blu di Lyanna e dormì. Il giorno dopo sarebbe stato più impegnativo di tutto il percorso che lo aveva spinto a Delta delle Acque. Ora che la guerra aveva macchiato la sua spada, Rhaegar non si sarebbe mai fermato. Il regno chiamava ancora, sofferente e lacerato. Ma da quel giorno, solo gli dei possedevano la facoltà di arginare la furia del Drago. I sette regni avrebbero riacquistato il loro splendore, uniti sotto un unico nome: Rhaegar Targaryen.


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

Fui Lord Rickard Stark, protettore del Nord e, per qualche tempo, Primo Cavaliere del Re.

Fui Rhaegar Targaryen, l'ultimo drago, Re d'Argento.
04/05/2015 07:54
 
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La marcia continuava senza intoppi, il paesaggio cambiava, passavano gli anni e i volti cambiavano, ma la compagnia dorata era sempre la stessa. Uomini temprati nella grande fucina della guerra di Essos. Da quando arrivai al comando la compagnia stava diventando qualcosa che nessuna compagnia era diventata. L’oro era molto nelle nostre casse, e la banca di ferro di Braavos elargiva milioni e milioni di pezzi d’oro in nome di chiunque avesse abbastanza potere per assoldarci.
Era da molto tempo che stavo meditando sul più grande progetto che la compagnia avesse mai avuto. Il palazzo d’oro. Era giunto il tempo che la compagnia avesse una sua sede fissa, un palazzo di rappresentanza, un luogo facile da raggiungere. Un palazzo simbolo di libertà coraggio e fierezza. Un simbolo di lealtà e potere.
Braavos era la scelta perfetta, avevo portato con me un mastro costruttore che ogni notte disegnava e ogni mattino mi mostrava le sue opere. I palazzi della banca di ferro e del signore del mare sarebbero impalliditi difronte al nostro.
I disegni del fronte mostravano una scalinata infinita portava ad un atrio con pilastri in marmo bianco alti trenta piedi, enormi bandiere dorate pendevano tra i pilastri. Lettere alte come uomini erano scolpite alla base della copertura recitava “Sotto l’oro l’acreacciaio”. I grandi saloni interni erano pensati per contenere interi reparti, le grandi statue dei generali che mi avevano preceduto avrebbero osservato con gelida austerità chiunque si fosse addentrato all’interno. Materiali ricchi, materiali freddi, e l’oro sarebbero stati i materiali dei saloni pubblici. Enormi saloni, enormi statue per far sentire piccolo ogni uomo che a noi sarebbe venuto a chiedere udienza.
Il sogno di una compagnia stabile e duratura era sempre nella mia mente in quei giorni. Un palazzo per ricordare al mondo chi eravamo, chi siamo e chi sempre saremo.
Ma i progetti erano ambiziosi, molto ambiziosi. Ci sarebbero voluti quasi centoquaranta milioni di pezzi d’oro per fare il palazzo, dieci anni di lavori e un vero e proprio esercito di costruttori. All’epoca non potevamo permetterci un tale esborso di denaro.
Ma io continuavo a sognare ad occhi aperti il mio palazzo d’oro.
Diedi ordine di fermare la marcia al calare del sole. Come sempre l’accampamento venne eretto con metodica perfezione, la truppa stanca poteva finalmente trovare riposo nelle tende, potevo finalmente rispondere ai corvi e ai messaggi che mi erano arrivati. Messaggi dalle città libere, messaggi da piccoli lord, messaggi da principi e magistri. A tutti era dovuta una risposta, si erano persi la briga di scrivere e la compagnia doveva rispondere.
Era sera inoltrata quando finii di firmare le lettere e mi misi a studiare le carte delle terre dei fiumi, dell’occidente e della valle. Mappe disegnate da qualche maestro molto abile con la piuma e i colori. Ogni castello era disegnato in maniera differente, i fiumi erano segnati con estrema cura e precisione. Sottili linee blu, quasi lacrime sul volto di un continente massacrato dalla guerra.
Meno volevo pensarci, più ci pensavo. Chiusi gli occhi e sprofondai nei meandri della mia immaginazione. Il palazzo d’oro di ergeva alto e maestoso sopra le acque di Braavos, vessilli dorati garrivano nel vento del mattino. L’odore di acqua salmastra riempiva le mie narici, il lontano rumore del mercato arrivava ovattato. Stavo li, seduto sui bassi gradini della scalinata principale. Davanti a me la laguna, e oltre la laguna il titano si ergeva maestoso, in tutti il suo mezzo piede d’altezza.
Alcuni soldati montavano la guardia agli ingressi del palazzo, fiere nelle loro armature dorate. Si appoggiavano a lunghe lance in ferro e legno intarsiato.
Quel giorno il vento portò nuvole cariche di pioggia sulla città viola, e il cielo che fino a poche ora prima era sereno si fece grigio e poi nero. Iniziò come una sottile pioggia, la gente che affollava il mercato sparì, le persone correvano verso casa. La gente correva, scivolava, cercava di non bagnarsi ed io restavo seduto li, sotto quella leggera pioggia che pian piano lavava la mia mente da inutili pensieri.
Le guardie che pattugliavano le porte si spostarono al coperto, il vento soffiava su vessilli ormai zuppi, i grandi bracieri delle statue esterne iniziavano a far salire sottili fili di fumo e poi si spensero. Il mare doveva essere furioso oltre il titano, onde arrivavano a lambirmi i piedi e io restavo li, fermo, in attesa.
In mano avevo un ciondolo di legno, legno nero come gli abissi, legno bianco come la spuma del mare. Una promessa, una promessa non mantenuta.
Quando l’ennesima onda arrivo ai miei piedi mi alzai, riuscii a farlo con molta difficoltà, liberarsi di un passato che non era più il mio. Buttare l’ultimo suo ricordo al mare; lei non c’era, lei non ci sarebbe più stata.
Rientrai nel palazzo dopo aver guardato il ciondolo sprofondare inghiottito dai flutti. Voltai le spalle al mare, al mio passato, ormai lavato dai miei dolori e dai miei ricordi.
Lentamente salivo verso il palazzo, i miei pensieri ormai si volgevano alla compagnia. Passai le grandi porte di bronzo, entrai nelle grandi sale delle udienze, ogni dove il sigillo di casa Blackfyre guardava coloro che si inoltravano all’interno. Girai a destra e salii altre scale, il grande scalone da cerimonia era stato scolpito in un unico blocco di pietra. Cento e cento artigiani e mastri scultori avevano perso le mani per creare una tale opera d’arte. I fuochi ardevano nei bracieri, vivaci lampade che proiettavano lunghe ombre erano incastonate nelle pareti così come i gioielli vengono incastonati nell’oro.
Arrivai alle sale superiori, una grande biblioteca occupava il primo piano; cento e cento scrittoi riempivano la stanza, una biblioteca per gli ufficiali, una biblioteca aperta per raccontare la storia della compagnia. I grandi annali della compagnia, i libri mastri con le firme di coloro che avevano prestato servizio e che al nostro servizio erano morti. I grandi libri contabili erano sistemati in ordine di anno, vicino ai libri che contenevano i contratti stipulati. La parte più consistente era dedicata ai libri che narravano le gesta e la storia della compagnia.
Passai oltre, salii al tempio, un piccolo giardino pensile si apriva prima del tempio; piccole piante bagnate dalla pioggia e sferzate dal vento.
Uomini da ogni angolo del mondo arrivavano nella compagnia, ogni tipo di dio e dea sono venerati nella compagnia, e il tempio era il tempio dei mille dei. Ognuno aveva un altare, un altare per ognuno delle maggiori divinità e un altare vuoto. Un altare vuoto per tutti quegli dei di cui i era perso il nome, un altare vuoto per il dio senza nome, un altare vuoto per coloro che erano stati dimenticati.
Le terrazze dei piani superiori davano sulla laguna, grandi vetrate chiudevano i solarium degli ufficiali superiori.
E li la vidi, un’ombra dal mio passato, un’ombra sul mio futuro; un peso sul mio cuore.
Una figura alta, snella e incappucciata. Una lunga mantella blu come il mare avvolgeva quella figura che sapevo fin troppo bene chi fosse.
Non vidi il suo volto, mi persi in quei suoi occhi verdi come gli smeraldi. Udii la sua voce, ascoltai la storia che mi raccontò, ascoltai quella voce che come mille lame trafiggevano la mia anima. Erano passati ormai due anni da quando ero andato via, due anni che non ascoltavo la sua voce. Molte volte avrei dovuto vederla, ma lei non c’era; perché tu non c’eri?. La domanda cadde nel vuoto, trascinata nei profondi meandri dell’oblio dalla pioggia che continuava a cadere.
Lei stava li, in mezzo al giardino superiore, sotto la pioggia che cadeva, con lo sguardo fisso verso il mare. La raggiunsi, la affiancai, e diressi il mio sguardo verso il mare. Il vento muoveva quelle ciocche dei suoi capelli che uscivano dal cappuccio. Una folata più forte le tolse il cappuccio e li la vidi. Biondi capelli al vento, occhi verdi come gli smeraldi che fissavano i miei, quelle labbra sottili che ben conoscevo, uno sguardo carico di rimpianti e n’espressione inconsolabile.
Al collo un cuore dorato.
Restammo li finché non smise di piovere, due sconosciuti che si rincontrano per la prima volta.
Il giorno lasciò posto alla sera, la sera lasciò il posto alla notte, e lei resto con me, come era restata con me per molto tempo, molto tempo addietro.
La mattina la trovai che passeggiava nei caldi e accoglienti saloni dei piani superiori, quando mi vide mi sorrise con una dolcezza che esisteva ormai solo nei miei ricordi.
L’ufficiale entrò nella mia tenda. Il palazzo d’oro si dissolse in una nuvola di fumo, Braavos divenne mille e mille miglia distante e lei scomparve. Caspor mi riferì che c’erano delle cose da sistemare con gli approvvigionamenti. Risposi che sarei arrivato subito. Mi alzai, mi diressi verso il baule dove avevo messo la mia cappa. Chiusi gli occhi, feci un sospiro per scacciare i pensieri e quando mi girai vidi ciocche bionde uscire da una cappa blu come il mare.





BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque










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Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata
14/05/2015 22:21
 
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Ormai erano settimane che l'esercito della Trota si era stanziato in quel territorio. Il posto era particolarmente favorevole per la difesa, cosa che fino ad allora era stata la massima priorità per l'armata. Se difendere la propria casa dall'invasione di due regni ignobili era impossibile per i Fiumi soltanto, forse non lo era difendere mogli e figli. Accanto alle tende rosse occupate dai militari c'era infatti una distesa di tende blu, adibite all'accoglienza delle donne e dei bambini.
Per settimane gli Uomini dei Fiumi erano rimasti da soli, a costruire barricate in legno e vedette per gli arcieri. Questi ultimi, famosi in tutti i Sette Regni per la grande abilità di tiro, vegliavano sul passo mentre picchieri e fanti pattugliavano le strade che dividevano le tende. Oltre che nei confronti dei nemici della Reggenza, infatti, l'occhio vigile dei soldati doveva impedire che la crescente povertà del popolo, privato di terre e campi, portasse ad episodi di violenza.

La situazione non era facile, ma il morale era alto. Più i giorni passavano e più alle tende rosse e blu se ne aggiungevano altre. I Fiumi non erano da soli nella lotta contro gli invasori, e giravano voci in tutto l'accampamento che i generali avessero intenzione di sfruttare i numerosi passaggi segreti che i castelli dei Fiumi custodivano contro gli occupanti. Prendere gli invasori di sorpresa sarebbe stato di certo più facile dai cunicoli noti solo ai loro veri proprietari che dai piedi delle mura, sotto una fitta pioggia di frecce.

In tutto questo, mentre le urla di speranza di soldati avvinazzati e baldoriosi riempivano l'aria serale, un messaggero scostò la tenda della modesta campagna del Reggente.
“Mio Signore, abbiamo nuove notizie dal fronte.”
Scostando i capelli ramati dal viso chino sulle solite mappe, Hoster alzò la testa. “Dimmi.”
“Pare che il nostro piano abbia funzionato. Lasciare a Delta alcune vacche malate ha provocato qualche malessere alle truppe del Piccione. Sembra che lo stesso Jon Arryn abbia sofferto di dolori intercostali dopo aver mangiato dei prodotti che il nostro popolo ha venduto ai suoi ciambellani.”
Hoster rise di gusto, come non faceva ormai da tanto tempo. Immaginare il vecchio in camicia di notte, rantolante alla ricerca di un bagno, non poteva che mettergli il buonumore.
“Speriamo che ogni tanto si renda conto del guano che esce dal suo corpo, oltre che da quello che sputa dalla bocca.”
Il messo, con il sorriso sul volto, si era già voltato verso l'uscita della tenda.
“Fermo, ho bisogno della tua attenzione ancora per un attimo. Passa di nuovo qui tra un quarto d'ora. Nell'attesa dell'arrivo di mio figlio da Delta voglio scrivere al reso della mia Famiglia.”
Il viso del giovane uomo si rese tutto d'un tratto grave. Delta delle Acque era caduta, e sebbene il popolo stesse offrendo strenua resistenza all'invasore Arryn e Targaryen stavano depredando il depredabile. Non che la notizia fosse più grave strategicamente della caduta di Harrenal o delle Twins, ma era innegabile che Delta fosse un simbolo. Ciò per cui la Trota aveva sempre lottato: salvare almeno la sua casa.
“ Certamente, mio Signore. Aspetterò qui fuori la stesura del messaggio.”
“Ottimo. Non dovrai portarlo alla capitale. Portalo alla Locanda. I viaggiatori diffonderanno la notizia.”

L'uomo uscì e, sospirando, Hoster avvicinò la sedia allo scrittoio. Sempre quel vecchio, quasi ammuffito scrittoio in legno che si era sempre portato dietro in ogni suo viaggio.

“Uomini dei Fiumi, Figli miei.

Sono ormai passati due mesi dal voltafaccia di Jon Arryn. Macchiandosi della più spregevole ignominia ha non solo permesso alle armate di un re irrispettoso tanto del giudizio umano quanto della legge divina di penetrare nella nostra casa, ma ha addirittura colpito la nostra Terra con la scure dei suoi eserciti.
Di certo avete visto uomini di celeste vestiti sfondare la vostra porta, uccidere i vostro vicino o peggio violare la vostra figliola. Ma non odiate loro.
Non sanno ciò che fanno, si lasciano trascinare dall'ebbrezza e dall'ignoranza. Gli uomini della Valle sono sempre stati nostri fratelli ed un manipolo di violenti non può minare il rapporto di fiducia che vige da secoli tra i nostri popoli.
C'è un solo colpevole di tutto questo. Un unico traditore, che ha portato con sé non solo i manigoldi di cui ho or ora scritto, ma anche uomini la cui unica colpa è quella di essere troppo fedeli al loro vessillo.
Potranno anche ammainare la nostra bandiera ed appropriarsi delle nostre messi, ma mai raggiungeranno ciò che vive nel nostro petto. I Fiumi non sono solamente quelli che scorrono nella nostra pianura, sono anche lo stesso sangue che bagna le nostre vene. So di parlare a nome di ogni Uomo dei Fiumi; i nostri valori non possono essere piegati dal giogo della schiavitù. Siamo stati schiavi innumerevoli volte, soggiogati da popoli a noi estranei, il cui unico legame con la nostra Terra era il volerne sfruttare le rigogliose rive. Ma come è stato deciso qualche mese fa, con la nascita della Reggenza, non saremo mai più schiavi.
Non vi chiedo di abbandonare le falci o i forconi, vi chiedo solo di supportare la libertà con ogni vostra forza. Cibate le armate nemiche con le vacche malate, nascondete i vostri averi al momento della tassazione. Abbiate sempre un posto sotto il vostro tetto per chiunque fugga dalla morsa del drago o dagli artigli del rapace, non esitate a difendervi da ogni sopruso, ricordatevi che la vostra vita vale molto più delle ambizioni di un vecchio folle. E, ancora una volta mi trovo a ripeterlo, non fidatevi di nessuno se non della vostra Famiglia.
Come di certo avrete sentito non solo il popolo patisce la guerra, ma anche i nobili hanno messo a disposizione i loro sacrifici. Ricordate Ser Brynden Tully e Lord Walder Frey, che con la loro prigionia permettono ai nostri generali di pianificare la liberazione. Sono uomini valorosi, e da quello che ho sentito la decisione presa dal Concilio è esattamente quella che avrebbero voluto. La Famiglia prima di tutto, sempre.
E come ultima cosa, non dimenticate che i vostri figli, spade alla mano, stanno arrivando. Manca ormai davvero poco alla liberazione della nostra Terra, siamo riusciti a resistere il necessario affinché i nostri alleati ci permettessero di non essere soli di fronte all'invasione di due casate.
Volgete lo sguardo al tramonto, è da lì che sorgerà la nuova alba.

Hoster Tully, un Uomo dei Fiumi.”


++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++




Re Jon Arryn


In passato:
- Pincipe Doran Nymeros Martell, Principe di Dorne e Lord di Lancia del Sole. Per colpa di Mace Tyrell il Bellissimo rimane solo un ricordo
- Lord Hoster Tully, Protettore del Tridente e dell'Ovest
- Tormund, Veleno di Giganti, Pugno di Tuono, Soffiatore di Corno, Marito di Orse, Grande Affabulatore, Distruttore del Ghiaccio, Voce degli dei, Re dell'Idromele di Ruddy Hall, Padre delle Armate del Popolo Libero, Scalatore della Barriera, Reietto nei Sette Regni
11/06/2015 10:49
 
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Pdv Oberyn 1 – Oberyn Nymeros Martell

<<Mmmm. Scorpione bianco di Hell Holt!>>
<<Giusto!>>
<<Leita dammi quelli!>>
La donna si allungò per prendere dalla scodella il cibo indicato mostrando il suo fianco sinuoso e scoprendosi la schiena ambrata prima coperta da una leggera veste gialla.
<<Mmmm. Gambero della sorgente del Vaith!>>
<<Esatto>> rispose dalla sua destra Lyria poggiandogli sulla spalla le sue delicate mani dalle unghie dipinte di molti colori.
Ingelosita da tale contatto Leita gli si avvicinò tanto da sfregargli il seno sul petto e da sentire il suo fiato sul collo.
<<Principe Oberyn!>>
<<Si?>>
Un uomo abbigliato con una cappa arancione e su cui si stagliava un sole trafitto da una lancia si fermò davanti al tavolo.
<<Il Principe Doran richiede urgentemente la vostra presenza nelle sue stanze!>>
<<Mio fratello mi rovina sempre il divertimento. Ehi bellezza, mi dai un bacino d’addio?>> disse Oberyn rivolgendosi a Lyria.
Paf! Lo schiaffo si stampò sulla guancia sinistra dell’uomo che alzò la mano per sfregarsela.
<<Bellezza puoi dirlo alla tua troia!>> aggiunse la donna dopo lo schiaffo.
Voltandosi alla sua sinistra Oberyn disse rivolto a Leita <<Bellezza, tu mi dai un bacio di addio?>>
Paf! Questa volta fu la guancia destra ad arrossarsi per lo schiaffo a seguito del quale le due donne si alzarono e si allontanarono sotto lo sguardo allibito del soldato.
<<Vere donne dorniane>> disse il principe rivolto al soldato lasciando qualche dragone sul tavolo prima di vuotare un bicchiere di vino tutto d’un fiato. Poi si alzò per andare da suo fratello.
Usciti dalla locanda il sole lo abbagliò costringendolo a socchiudere gli occhi. Le case bianche o color sabbia che costeggiavano la via riflettevano ed intensificavano la luce solare creando una grossa differenza con quella tenue presente all’interno dell’edificio in cui si trovava poco prima. Si trovavano nella zona ovest di Lancia del sole, affollata di gente e di tende sotto cui i mercanti vendevano ogni genere di merce. L’aria odorava di mare; dal porto giungevano le voce dei marinai che tiravano gli ormeggi, scaricavano i loro carichi o caricavano le navi, a queste si univa lo stridente verso dei gabbiani che affollavano il molo in cerca di un facile pasto. Una leggera brezza soffiava dal mare smuovendo i tendaggi delle case e rinfrescando le strette vie della capitale del Dorne.
Incamminatisi verso destra subito il palazzo dei Martell si stagliò di fronte a loro. I tre livelli di mura serpeggiavano concentricamente intorno al forte che era anche circondato dal mare su tre lati. Le due principali torri del palazzo risaltavano per la loro altezza e due diversi dettagli: in cima alla Torre della Lancia, alta centocinquanta piedi, svettava una lancia di acciaio lucidato ed in cima alla Torre del Sole una cupola dorata ricoperta di vetro istoriato. Sotto quella torre si trovavano poi i troni da cui da secoli la famiglia Martell faceva valere il suo potere sul Dorne. Ogni volta che Oberyn osservava quegli scranni, solo in apparenza uguali, ricordava suo padre seduto sul trono riservato al Principe di Dorne e contrassegnato con una lancia d’oro incastonata nella parte posteriore dello schienale. A completare il palazzo di fronte al corpo centrale che sosteneva le torri della Lancia e del Sole vi era la Nave di Sabbia, una immensa costruzione a forma di dromone che secondo la leggenda era una nave incagliata che nei secoli era divenuta roccia per l’azione di vento, acqua, sabbia e sole.


Giunto nelle stanze di suo fratello dopo essere stato annunciato dalla guardia che gli aveva fatto da messaggero presso la locanda in cui si sarebbe gustato due belle donne il Principe Doran gli disse: <<Per fortuna sei stato il primo a rispondere alla mia convocazione, fratello, sei talmente rosso in viso che non si capisce se hai bevuto troppo o piuttosto ti sei azzuffato con qualcuno>> e con la mano fermò una qualsiasi risposta prima di aggiungere <<Non voglio saperlo, mi basta che nostro zio e quel sant’uomo di Lord Yronwood non ti vedano in questo stato, quindi vedi di ricomporti immediatamente>>
Non ebbe però il tempo di concludere il suo rimbrotto che dai battenti ancora aperti entrarono il Principe Lewyn, Lord Yronwood e Ser Deziel Dalt.
<<Ah eccovi. Finalmente ci siamo tutti. Maestro Caleotte mi ha informato che il nostro beneamato sovrano ha deciso di organizzare un grande torneo ad Harrenal>> disse il Principe di Lancia del Sole dopo che tutti si furono messi a loro agio <<I miei impegni non mi permettono di partecipare…>>
<<Di’ pure che come cavaliere sei troppo modesto per scende in lizza>> lo interruppe Oberyn sorridendo.
<<Hai ragione, fratello, a mettere in imbarazzo la nostra casata basti tu>> lo riprese Doran <<Ma quello che intendevo dire è che non guiderò neppure la delegazione dorniana. Oltre ai miei impegni, l’età e la mia salute cagionevole mi sconsigliano di intraprendere un viaggio così lungo. Quello che invece mi ha spinto a convocarvi qui, è appunto la volontà di sondare le vostre intenzioni. Il Dorne ha il dovere, oltre che l’onore di partecipare, anche solo per ricordare a tutti i Sette Regni quanto siano formidabili i suoi guerrieri. Il tempo per organizzare tutto è molto ristretto, vista la distanza da quel triste maniero, quindi mi serve la vostra risposta immediata>>
Uno strano silenzio si diffuse nella stanza. Tutti guardavano Oberyn di sottecchi pensando probabilmente che sarebbe stato il primo a parlare, ma così non fu.
<<Principe Doran, sarò lieto di partecipare al torneo di Harrenal indetto dal Re. Ricorderò al resto dei Sette Regni quanto sia bollente il sole di Dorne>> disse suo zio Lewyn.
Oberyn osservò Lord Yronwood che sembrava voler prendere parola e pensò che sicuramente stava silenziosamente ripetendo una delle sue tante preghiere, ma subito si riprese e disse rivolto a Doran <<Casa Yronwood si recherà ad Harrenal per tenere alto l’onore di Dorne, ai Sette piacendo>>
“Ci avrei scommesso che avrebbe tirato in ballo i Sette dei” pensò Oberyn e si diresse isolente come sempre verso una poltrona posta sul lato destro della stanza e distendendosi prese da un vassoio un grappolo d’uva. Lewyn, uomo tutto d’un pezzo, non lo guardò bene, Lord Yronwood lo fissò stranito come avesse visto il peggior demone di questo mondo, mentre l’espressione di Ser Deziel Dalt era indecifrabile, ma nessuna sembrava canzonatoria come quelle del Principe Doran e del Maestro Caleotte.
<<Fratello, non possiamo inviare a rappresentare il Dorne due vecchi, inoltre sarebbe un disonore che nessuno del nostro ramo familiare si presenti al torneo. Penserò io a rappresentare il Dorne contro quelle donnicciole in sottana che si fanno chiamare cavalieri>> disse Oberyn mettendo in bocca un acino.
Ser Deziel aveva aspettato pazientemente che tutti parlassero, ma a quel punto con spalle dritte e sguardo fermo accennò un passo in avanti e rivolgendosi al Principe Doran disse: <<Temo che non appena mi presenterò al torneo, alcuni potrebbero liquidarmi considerandomi un giovane uomo imberbe. Dunque avrò cura di assicurarmi che quelle… donnicciole in sottana imparino anche a temere i giovani imberbi, se dorniani>>.
<<Ahahahah!>> Oberyn scoppiò in una risata <<questo è il giusto spirito di un dorniano>>
Anche gli altri abbozzarono in sorriso smorzato però dal rapido movimento di suo fratello che si alzò dallo scranno.
<<Sono felice di sapere che il Dorne accorrerà con i suoi migliori campioni a questo evento che si preannuncia foriero di grandi novità per i Sette Regni. Non ho alcun dubbio che vi farete onore ogni qualvolta scenderete in lizza seguiti dagli altri Lord di Dorne che vorranno unirsi a voi. Confido che i risultati saranno all’altezza del vostro nome e del vostro entusiasmo>> dettò ciò Doran si voltò verso Oberyn guardandolo con una severità che non scalfì però la serenità di quest’ultimo che continuò a mangiare l’uva ed aggiunse <<dalla parte opposta, mia auguro che Oberyn verrà ricordato per le sue imprese nell’arena e non per quelle in altri luoghi disdicevoli. Per questo, fratello, vedi di conservare le tue forze per gli avversari che incontrerai e non per altre fatiche. Non voglio sapere di donne che frequentano la tua tenda né vederti tornare con un’altra di quelle frignanti bambine che insisti a tenere con te>>
Non lasciò al fratello il tempi di rispondere che si diresse verso Lord Yronwood posandogli una mano sulla spalla <<Carissimo Ormund, ti affido la guida di questa spedizione. Incontrerai Lord e cavalieri e la tua parola sarà quella di Dorne, come se fossi io stesso a pronunciarla. Sono sicuro che la tua saggezza saprà farci guadagnare nuovi amici e confermare quelle attuali>>
Fu poi il turno del Principe Lewyn e Ser Deziel che prese entrambi a braccetto per poi dir loro <<A te zio non devo nessun suggerimento, perché so che farai del tuo meglio come sempre, mentre al giovane Dalt auguro che il suo nome riecheggi per tutto il Westeros. Ora andate a prepararvi per la partenza, perché il tempo a nostra disposizione è poco e la strada per Harrenal è lunga. Appena potete fate sapere a Maestro Caleotte in quali discipline vorrete misurarvi.>>
<<Fratello io parteciperò ad ogni competizione>> rispose prontamente Oberyn.
<<Ci rivedremo il giorno in cui lascerete Lancia>> disse Doran in apparenza senza averlo ascoltato.
[Modificato da fufo88 11/06/2015 10:50]


11/06/2015 11:08
 
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Pdv Oberyn 3 – Udienza dal Re

Oberyn dopo essersi concesso un lungo bagno caldo, durante il quale aveva goduto della sconfitta di Ser Oswell Whent per mano di un dorniano come Ser Arthur Dayne, si era abbigliato con una lunga tunica arancione appuntata con un sole d’oro trafitto da una lancia d’argento e dei sandali con lunghi legacci che avvinghiavano la gamba fin sotto il ginocchio ed un lungo mantello nero. Finito tutto ciò si era diretto da sua sorella e presala sotto braccio le aveva detto <<Cara sorella, è ora di banchettare. Mi pare che alla Sala dei Cento Focolari sia stato organizzato un ricevimento>> poi rivolto a suo zio ed agli altri Lord e Ser presenti aveva aggiunto <<Venite anche voi?>>
<<Fratello, hai dato buona prova di te nella Danza, come dimostra la tua vittoria sul Principe Rhaegar.>>
<<Non ho però vinto, mi pare!>>
<<Suvvia, Ser Whent ha avuto fortuna ed in fondo un pezzo di Dorne ha comunque trionfato davanti a tutti>>
Oberyn avvicinò il viso a quello di sua sorella e mentendo sussurrò dolcemente all’orecchio della principessa <<Sorella, non mi importa molto che un altro dorniano abbia vinto. Quello che conta è che quel dorniano non sono io>>
<<Sei troppo duro con te stesso. Sarò comunque lieta di accompagnarti al banchetto, a patto che tu non beva troppo ed ascolti i suggerimenti di nostro zio e di Lord Yronwood>> disse Elia senza dare segno di aver ascoltato le brutte parole rivoltele dal fratello ed anzi punzecchiandolo a sua volta.
<<Per quanto mi riguarda, sarò ben felice di accompagnarvi al banchetto. E’ stata una giornata lunga, non so quanto mi tratterrò effettivamente, ma non posso non presenziare>> disse Ser Deziel con un sorriso sul viso, sicuramente sorto per via delle parole della Principessa Elia.
Si unirono a loro molti dei Lord presenti nel campo Dorniano oltre al Principe Lewyn che discutendo con Lord Yronwood elogiò l’abilità dimostrata durante la Danza di Guerra dalle Cappe Bianche ed in particolare da Ser Arthur Dayne.
Mentre si avviavano verso i cavalli, però, una guardia giunse seguita da un cavaliere vestito di bianco annunciando che Ser Oswell Whent chiedeva di poter discutere con il Principe Oberyn.
Ricevuto il permesso e dopo aver accennato un breve inchino egli disse: <<Porgo i miei Saluti ai Principi di Casa Martell, ai loro nobili alfieri ed ai loro valenti cavalieri. Sua maestà ha espresso il desiderio di poter parlare con il Principe Oberyn Martell in privato, prima che inizi il banchetto. Questo sempre che il Principe si senta di camminare dopo i colpi ricevuti durante la Danza di Guerra>> e un sorriso sorse sulle sue labbra, ma Oberyn decise di non rispondere alla provocazione.
<<Ser Oswell è una fortuna per voi che ci siamo diretti alla nostre tende prima di dirigerci al banchetto. Conducetemi dunque dal Re, sono onorato che abbia chiesto di me. Cara sorella ti lascio alle cure di nostro zio e degli altri nobili lord e ser. Vi raggiungerò al banchetto appena potrò. Porgete nel frattempo i miei omaggi ai nobili Lord che incontrerete>> disse Oberyn lasciando il braccio della sorella e facendo cenno alla cappa bianca che potevano incamminarsi.
<<Vi farò strada!>>

Il Re si era sistemato nelle stanze private di Lord Walter Whent all’interno del forte in parte diroccato di Harrenal. L’imponenza del castello avere inizialmente disorientato Oberyn che si chiedeva come fosse possibile che esistesse un struttura del genere. Nella sua ancora breve vita aveva visto diversi castelli, soprattutto nella marca dorniana, nelle terre della tempesta e nella parte sud dell’altopiano, ma nessuno era minimamente paragonabile a quello di Harrenal. Dalla nave aveva anche avvistato la Fortezza Rossa in cima alla Collina di Aegon di Approdo de Re che da molti veniva descritta come immensa, ma non gli aveva suscitato lo stesso effetto di quello che aveva provato avvistando già da molto lontano quel forte posto a sud del guado di Lord Harroway’s Town. Probabilmente tale effetto era anche dato dalle alte mura e torri in parte fuse più di due secoli prima dai draghi di Aegon il Conquistatore.
Seguendo Whent dopo una tortuosa serie di corridoi il principe dorniano giunse di fronte alla porta della stanza in cui si trovata il Re. Ser Arthur Dayne montava la guardia ed al loro arrivo Whent gli rivolse un breve cenno di saluto.
<<Ser Arthur, complimenti a voi per la vostra danza e soprattutto per l’ultimo ballo>> disse Oberyn al dorniano tendendogli la mano e ricevendone un’energica stretta come risposta.
<<Grazie Principe Oberyn, complimenti anche a voi per gli ottimi scontri sostenuti>>
<<Non è bene far attendere un Re>> disse Ser Oswell interrompendo il dialogo ed aprendo la porta della stanza reale.
Dopo essersi congedato dal vincitore della Danza di guerra Oberyn varcò l’entrata e si ritrovò in una piccola stanza poco arredata: un tavolo stracolmo di oggetti abbandonato accanto ad un muro, una grande scrivania ingombra contornata da uno scranno su un lato e due belle sedie sull’altro al centro, arazzi di vario genere sui muri tra cui uno recante il drago a tre teste affisso in onore della famiglia reale e poco altro a cui il principe non badò. Su una grossa poltrona, posta accanto ad un camino era seduto Aerys abbigliato con una elegante cappa nera bordata di un rosso intenso e con il drago a tre teste al centro del petto. I suoi freddi occhi viola cominciarono a fissare Oberyn ed il principe ebbe come la sensazione di essere stato incatenato.
<<Vostra Maestà>> disse il dorniano chinando solamente il capo e dirigendosi verso il Re.
“Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati” ripetè mentalmente a se stesso Oberyn.
Non appena si fu seduto sulla poltrona di fronte al Re questi gli rivolse la parola: <<Avete danzato bene, Principe Oberyn. Siete riuscito a battere mio figlio e>> ghignando voltò lo sguardo verso Ser Oswell che era rimasto nella stanza accanto alla porta <<avete dato del filo da torcere alla Guardia Reale. Sono dunque tutti abili come Voi, i guerrieri del Dorne? Del resto Ser Arthur è un dorniano>>
<<Vostra Maestà, si combatteva con una spada bastarda ed una corazza di cuoio! Questo è nulla per un dorniano. Vedo che avete ricevuto le bottiglie di vino rosso che mio fratello vi ha inviato, potremmo assaggiarne un sorso mentre discutiamo, cosi da inumidirci la bocca. Ser Whent potrebbe versarcene un po’!>> disse parlando al Re, ma rivolgendo al guerriero uno dei suoi sorrisi migliori.
<<La mia Guardia Reale non versa vino, Principe Oberyn>>
Il tono del Re fu gelido e lo sguardo espresse astuzia. Molti parlavano di follia, ma Oberyn nell’osservarlo penso che quella che vedeva non poteva essere solo follia.
<<Va beh, faremo a meno del vino, spero solo che lo assaggiate perché si tratta di un’ottima annata. Comunque, nel Dorne non siamo allevati per fare le donne di corte come molti dei Lord che ho visto oggi, dateci una lancia ed uno scudo adatto e vedreste di quale abilità siamo capaci>>
<<I dorniani hanno fama di ottimi guerrieri, è vero, ma lo scontro di oggi ha dimostrato il netto predominio della Guardia Reale. Fareste bene a non dimenticarlo!>>
<<Se non fossero i migliori non sarebbero al vostro fianco credo, è però un dato di fatto che il migliore tra essi si è rivelato un dorniano>>
Oberyn aveva appena iniziato a vantare le genti della sua terra che il Re cambiò argomento.
<<A proposito di donne di corte, ricordo vostra madre, Principe Oberyn. Serviva mia madre come dama ed in seguito, per breve tempo, fu la dama di compagnia di mia moglie. Ditemi dunque, vostra sorella Elia vorrebbe venire anch’ella a corte come dama di compagnia della Regina?>>
<<Elia potrà rispondere da se alla vostra domanda, è una donna dorniana, con diritti pari a quelli degli uomini, saprà esporvi le sue aspirazioni e se si ritiene all’altezza dell’onore di divenire dama della Regina! Credo, però, che una principessa dovrebbe stare al fianco di un principe, ma questo è un mio pensiero non quello di mia sorella!>>
“Avrei dovuto appuntare al vestito la rosa che ho ricevuto oggi” pensò Oberyn mettendosi in attesa delle prossime parole di Aerys.
<<State forse suggerendo un matrimonio tra vostra sorella e mio figlio?>>
<<Non suggerisco nulla, considerato anche che non sono uno dei vostri consiglieri. Ho espresso solo un mio pensiero. Volevo dire che, a mio modesto parere e parlando chiaramente, il posto per una principessa non è quello di dama di corte, ma ribadisco che sarà Elia a dover rispondere alla vostra domanda>>
Oberyn odiava quei giochi di potete per cui ogni frase veniva interpretata in molteplici modi e sempre per il proprio tornaconto o per cui ogni pensiero veniva considerato come un suggerimento anziché un semplice pensiero personale. Nessuno capiva che se lui aveva da chiedere chiedeva e basta ed altrettanto si sarebbe aspettato dagli altri. Un po’ a disagio per la piega che il discorso stava prendendo chiese al Re: <<Avrei cambiato idea riguardo al vino, potrei versarmene un calice?>>
Aerys non rispose nemmeno, ma fece cenno al principe di prendersi da bere. Oberyn attraversò la stanza e preso un calice tra le cianfrusaglie riposte sul tavolo lo riempì abbondantemente.
<<Siete sicuro di non volerlo assaggiare?>>
Aerys nuovamente non rispose, quindi Oberyn tornò a sedersi e cominciò a sorseggiare il vino.
<<Dunque non ritenere la corte della Regina un luogo adatto per Vostra sorella?>> il Re continuò senza dagli il tempo di rispondere facendo all’altro il miglior regalo della serata <<Siete un valido guerriero ed un uomo schietto, Principe Oberyn. Sono entrambe doti che apprezzo… finchè la schiettezza non di tramuta in insolenza. Siete dunque un uomo schietto ed onesto o un insolente?>>
Il tono del Re era tagliente ed invitava il dorniano a rispondere in fretta.
<<Re Aerys, io sono schietto, onesto e prima di tutto insolente>> ora la voce del principe era seria ed ogni sorriso era scomparso dal suo viso <<Voi siete il Re e meritate il rispetto dovuto al Re, ma io sono un Principe di Dorne ed è buona cosa per un principe dire ciò che pensa, tanto più se si rivolge al Re. Non devo essere come tutti i Lord leccaculo che ho visto a questo torneo che anche per ottenere un grammo di merda farebbero uscire dalla bocca belle e false parole. Essendo un Principe di Dorne sono tenuto a parlare chiaro con il Re. Questa è l’insolenza di cui mi chiedete? Perché questa è l’insolenza di cui parlo io>>
In quel momento l’ottimo vino di Dorne non aveva nessun sapore, ma Oberyn continuò a sorseggiarlo.
<<Vi dipingete come uno che parla chiaro ed allo stesso tempo parlare di Lord leccaculo>> il Re sottolinea con la voce quell’ultima parola come se l’avesse irritato e poi malinconicamente prosegue <<Non avete torto. La mia corte è piena di parassiti. Adulteri di giorno, tessitori di trame di notte. E’ mia intenzione provare a sradicare la falsità, le bugie, la sporcizia da Approdo del Re. Questo torneo non serve solo a segnare l’avvento dell’Estate, ma anche l’inizio di un nuovo Concilio Ristretto. Avete appena detto di essere un uomo che dice al Re ciò che pensa. Vi offro l’occasione per dimostrarmelo. Vi offro un seggio nel nuovo Concilio>>
Ancora un cambio di argomento, questo però preoccupava Oberyn che rifletté un attimo su come poteva esprimere il suo pensiero.
<<Re Aerys, mi sorprendono queste vostre affermazioni. Cambiare il Concilio Ristretto in così poco tempo dall’oggi al domani! Parlando schiettamente devo dire che quello che mi offrite sarebbe per me un grande onore ed un grande sacrificio allo stesso tempo. Stare lontano da Lancia del Sole, dal suo mare, dal territorio che la circonda e dalle sue donne non lo troverei facile ed inoltre a dire il vero non mi sono mai trovato a ricoprire un ruolo di potere. Demando spesso queste questioni a mio fratello Doran sia per via della loro noiosità sia, soprattutto, per la mia indole focosa ed insolente>> Oberyn sottolineò col tono della voce quell’ultima parola <<che mi porta spesso allo scontro>>.
Il dorniano sorseggiò più volte il vino, ma il Re non diede accenno di voler parlare così il principe riprese.
<<Avete quindi radunato tutti questi grandi Lord per offrire a tutti un post nel vostro nuovo Concilio! Sono molto contento che teniate in considerazione Casa Martell per un così importate ruolo ed allo stesso tempo vi dico che riterrei opportuno che venisse sentito anche il Principe Doran tramite qualche rapido corvo, so che vorrebbe discutere di una tale opportunità. Se posso osare, quale sarebbe il ruolo nel Concilio che pensereste di offrire al Dorne?>>
<<Intendo dare spazio ad ognuna delle Grandi Case a corte. Intendo poter sentire voci da ogni angolo dei Sette Regni al mio Concilio. Ai ruoli penserò una volta che saprò quali uomini siederanno a corte a consigliarmi. La vita è fatta di sacrifici, Principe Oberyn, e mi aspetto che vostro fratello ve lo ricordi nei suoi corvi! Potete andare ora!>>
Con un gesto della mano, il volto accigliato e un tono freddo nella voce Aerys congedò il principe. Questi si alzò chinò il capo senza proferir parola e cominciò a dirigersi verso la porta i cui cardini stridettero mentre Ser Oswell la apriva e lo osservava avvicinarsi. Oberyn, con un ghigno dipinto sul viso, giunto di fronte al guerriero pose per terra, davanti ai piedi del cavaliere, la coppa quasi vuota ed uscì nel corridoio dove con un cenno salutò Ser Arthur e si diresse verso l’accampamento Martell. Non sarebbe andato al banchetto quella sera.


14/06/2015 17:06
 
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Rhaegar IV - La Resa

<< QUELL'IDIOTA D'UN BARATHEON! >> tuonò Rhaegar gettando a terra le lettere che coprivano la sua scrivania.
Ser Arthur e Ser Barristan tentarono di calmarlo, invano. Ormai era fuori controllo, aveva bisogno di sfogare tutta la sua rabbia.
<< LO SAPEVO, QUELLO E' CAPACE SOLO A BERE! >>
Robert Baratheon... Il Re d'Argento più volte aveva tentato di convincere il suo predecessore a cercare alleati altrove, ben conosceva l'indole del cugino: impulsiva, irrazionale, persino stupida talvolta.
<< IN LORO C'E' IL SANGUE DEL DRAGO! >> Il re respirò profondamente, poi riprese il monologo mostrando un tono più pacato.
<< La follia era già in lui. La stirpe, il sangue... Questo guardava... Il lume di persone un tempo sue alleate non significava nulla. E mi son trovato quell'aspirante obeso di mio cugino come alleato. E così, di punto in bianco è andato a giocare al signore della guerra nel Dorne... Facendo poi ricadere su di me la colpa della sua smania di combattere. Mi è toccato avere anche quell'inutile di Stannis come Guardia Reale! >>
Barristan si fece avanti. << Mio Re, non siate così duro, questa guerra era impossibile da vincere! >>
Rhaegar non poté contraddirlo. Suo padre lo aveva già condannato molto prima di Harrenhal. L'unica cosa possibile sarebbe stata deporlo prima, ma il Giovane Drago non ebbe il coraggio di rinnegare la sua famiglia. E ora, quella mancanza, stava mostrando il suo reale peso.
La guerra volgeva al termine... Quello se non altro... Rhaegar aveva capito che non poteva salvare il mondo seduto sul Trono di Spade. Doveva lavorare dietro le quinte, agire nell'ombra, senza spada, senza violenza. L'unica cosa che non avrebbe mai potuto tollerare sarebbe stata Hoster Tully Re dei sette regni.
<< Twyin è un uomo saggio. Non commetterà un errore così grande... >> si disse il giovane drago, osservando quella pietra a forma ovale...
Dopo qualche minuto di silenzio fu ser Arthur a chiedere al suo re cosa stesse pensando.
<< Non riesco a non pensare a quell'inetto del Baratheon. L'eroe... Lui che vantava le numerose imprese militari! Pensa che il genio, una volta, ha chiesto al Lannister perché lo avesse attaccato, affermando di non avere nulla contro di lui. Quando persino i bruti sapevano dell'alleanza tra il leone e il sole... >>
Le guardie reali non riuscirono a trattenere la risata.
<< E mio padre diceva " Farà grandi cose! " ... Sì, grandi mangiate... >> commentò sarcastico. Poi sorseggiò un goccio di vino e riprese l'invettiva. << Il sangue del Drago che finisce a fare il lacché dei Greyjoy... Ma come si fa?! Gli uomini di ferro sono dei selvaggi, privi di cultura e senso civile. Forse il ciccoBob si troverà a suo agio... Nel frattempo io ho perso la guerra, il trono e l'orgoglio. >>
Rhaegar avrebbe preferito morire in battaglia che arrendersi e dover inchinarsi ad un re indegno di tale ruolo. Un re egoista, del quale neanche sapeva il nome. Ma ben conosceva la strada percorsa per giungere ad Approdo. La guerra, la ribellione. L'occasione per governare il regno l'avevano avuta. In un attimo di lucidità Aerys si era preoccupato di avere tutti i lord con se al tavolo del consiglio ristretto.
Ma no, avevano deciso che i sette regni erano stanchi dei draghi. Che loro erano stanchi dei draghi. I lord erano proprio come Aerys, ossessionati dal potere.
Per questo Rhaegar temeva che la sua resa non sarebbe stata sufficiente per porre fine alle ostilità.
<< Temo, mio caro Arthur, che molto sangue sarà ancora versato. Al nord... Al sud... Ovunque. E, se così sarà, come ho deciso di andarmene, deciderò di tornare. >>
Prima di dormire, lucidò BlackFyre, dono di Myles Toyne. Il Re sapeva che il tempo di riporla nel fodero non era ancora giunto.

La notte e il sonno calarono sulle stanche membra del Giovane Drago, donandogli un riposo senza sogni che, improvvisamente si ruppe. Un tonfo fragoroso costrinse Rhaegar a balzare in piedi e ad a impugnare il primo oggetto contundente a portata di mano.
Ci volle qualche secondo, ma poi, il Re, trovò il responsabile del rumore: era la pietra che Aerys considerava un uovo di drago.
" Com'è caduta? " si chiese il Re d'Argento. Il peso era notevole, una corrente d'aria non avrebbe sortito alcun effetto...
Qualche secondo dopo, la pietra si mosse nuovamente, spingendo Rhaegar a indagare più affondo.
Al tatto la roccia fu stranamente calda, quasi scottante... Al limite della realtà, incredulo più che mai, il Re si accucciò e poggiò delicatamente l'orecchio sulla pietra.
Due rumori sordi, in rapida successione convinsero Rhaegar: Il suo destino era tutt'altro che segnato...


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

Fui Lord Rickard Stark, protettore del Nord e, per qualche tempo, Primo Cavaliere del Re.

Fui Rhaegar Targaryen, l'ultimo drago, Re d'Argento.
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Rhaegar V - Verso Winterfell

<< Ser Arthur! >> chiamò Rhaegar dal terrazzo della sua stanza.
Il cavaliere era intento a sedurre la terza giovane dama della settimana. Ora che non era più una guardia reale voleva recuperare il tempo perduto in camera da letto.
<< Dimmi principino >> rispose ironico e infastidito. L'ex Re d'Argento gli fece cenno di salire.
Ser Arthur Dayne percorse quella breve distanza riflettendo intensamente sul motivo della convocazione. Conosceva ogni espressione del volto di Rhaegar, per tanto, anche quella volta, intuiva i pensieri... nulla di positivo. Ma come dargli torto? Aveva appena ceduto il trono della sua famiglia ad un barbaro. La speranza di un mondo migliore stava svanendo lentamente.
<< Cosa ti turba oggi? >> chiese il cavaliere ricordando all'amico tutti gli sfoghi da Maestro depresso della Cittadella.
<< Ho deciso di partire. >> L'idea di viaggiare non dispiaceva ad Arthur che, ingenuo, chiese la destinazione.
<< Andrò da solo. Senza guardie, senza cavalieri, senza amici. Voglio solamente conoscere un mondo diverso, fatto di contadini e non di lord. Voglio svegliarmi la mattina senza sapere dove dormirò la sera. Ma soprattutto, non ho intenzione di avere a che fare con il regno di Balon Greyjoy. Non ho intenzione di rispondere alle sue missive, di dovergli portare rispetto e tutte quelle noie a cui un Lord è costretto. Da quando ho ricordi sono sempre stato sottoposto a tutte le noie che la corte implica ed ero solo l'erede. Da Re ho fatto il generale e basta. Ora sarei costretto a tante di quelle noie che tu scoprirai. >>
Rhaegar vide subito l'espressione stupita del suo fedele amico e anticipò la sua domanda.
<< Sì, tu parlerai a mio nome. Sarai il nuovo Lord di Casa Targaryen. >>
Ser Arthur si sentì particolarmente offeso e altrettanto esaltato.
<< Rhaegar, perché io? Perché mi condanni a tutta quella noia conoscendo bene il mio carattere. >>
<< Sei l'uomo più fedele a me che io conosca, nonché l'amico più caro che ho. Inoltre sei perfetto per il ruolo. Sei pratico e pigro. Risolverai tutti i problemi senza riflettere e nel modo più rapido possibile. Non ti farai incatenare dalle convenzioni arcaiche chi mi insegnano da quando sono bambino. Comunque, ora che le nostre terre sono molto poche, non avrai troppi problemi di cui occuparti. Io non sono più in grado di essere chi il mondo ha bisogno io sia. Tu sei l'unico di cui mi fidi e che è in grado di sostituirmi. >>
Arthur capì.
<< Allora dove andrai? >>
<< Rickard mi ha invitato a Winterfell e ho accolto l'invito. Il mio destriero è già stato sellato, la mia armatura è pronta e BlackFyre è stato lucidato. >>
<< BlackFyre? La spada? >> chiese ser Arthur stupito.
<< No, il fodero. La spada non la possiedo ancora, Myles Toyne farà in modo di consegnarmela. Suppongo che, data la mia partenza, ti toccherà fare da intermediario. >>
Il cavaliere annuì e tornò sul discorso precedente, esponendo le perplessità riguardo a Winterfell. Il viaggio, d'altronde era lungo e i pericoli del viaggiare da soli si annidavano ovunque.
<< Me la saprò cavare. In fondo sono pur sempre sangue del drago. >>
Dopo queste parole, il giovane drago tese la mano al suo amico, guardandolo dritto nelle pupille. Ser Arthur mandò a "fanculo quella mano" e abbracciò il suo grande amico.
<< Stronzo di un princino viziato. Mi fai quasi commuovere!!! >>
Con un filo di voce, Rhaegar concluse << Grazie di tutto amico mio. >>


" E ora? Cosa accadrà? " si chiese il Re d'Argento, godendosi il vento trai capelli. La vita che ora aveva davanti era un'incognita. Non aveva più uno scopo, né una ragione per combattere. Forse, per la prima volta, Rhaegar era libero.


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

Fui Lord Rickard Stark, protettore del Nord e, per qualche tempo, Primo Cavaliere del Re.

Fui Rhaegar Targaryen, l'ultimo drago, Re d'Argento.
25/11/2015 22:56
 
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Rhaegar VI - Una nuova corona

"Mio Re"
Due semplici parole e un oggetto portò quel corvo. Non un mittente, non una firma, ma non v'era alcun bisogno. La 'r' tremolante, la 'e' troppo piegata, le parole troppo distanti... Era indubbiamente Ser Arthur Dayne.
Rhaegar raccolse quel pezzo di ferraglia luccicante che il corvo aveva lasciato cadere. Lo spolverò con il lembo della camicia e lo alzò verso il cielo. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che lo aveva indossato... Un fiume di ricordi lo pervase ed egli rimase sotto la luna a lasciarsi trasportare.

"Rhaegar, non la toccare, tuo padre si arribbia"
"Ma madre voglio solo provarla"
Il Re entrò in quell'istante.
"Provala figlio mio! E ricorda, è solo una minima parte del peso che ti graverà sulle spalle"
Il piccolo drago strappò velocemente la corona dalle mani di Rhaella e la indossò per pochi istanti. Poi, lamentandosi del peso la riconsegnò al padre.


Ora la corona era di nuovo pronta a spettinare la sua elegante chioma, a tediare la sua esistenza con politica e strategia militare.
<< Ne varrà la pena >> sussurrò il drago. Egli sapeva, infatti, che tutto il dolore che lui stesso e molti altri avrebbero dovuto sopportare aveva un senso. In gioco v'era la prosperità dell'intero regno e la longevità dello stesso. I Targaryen, dai tempi di Aegon, avevano garantito stabilità e ordine alle terre prima selvagge e solo un Targaryen poteva riportare la sicurezza che tutte le grandi casate avevano stuprato.
Non queste, ma altre parole simili Rhaegar usò per un’ora intera, parlando con sé stesso e riflettendo sul destino che da lì a poco avrebbe affrontato: non gli era più concesso un solo errore, doveva essere il leader perfetto per il suo esercito, il re perfetto per il suo popolo e l'uomo perfetto per sé.

Con ancora la corona indosso, il Re d’Argento spalancò la finestra della sua stanza e si sedette sul davanzale, con la gamba destra penzolante nel vuoto.
Mirò la luna, piena e splendente in mezzo al cielo, e pensò a Lyanna. Da quando aveva messo piede a Wintefell non aveva prestato troppa attenzione alla giovane, se non tre giorni prima, a colazione... Eppure, in quel preciso istante, l’amore folle che ad Harrenhal lo aveva pervaso tornò.
Una folata di vento smosse i capelli di Rhaegar.
<< Lo so, Dei che ascoltate persino i miei pensieri, so bene! Questa sensazione così intensa mi ha reso cieco ad Harrenhal, talmente tanto che non mi son reso conto di ciò che accadeva, ma oggi è diverso, io sono diverso! >> Un’altra folata, più intensa spinse Rhaegar verso l’interno della sua stanza, poi tutto si calmò. La quiete tornò ad essere l’unica regina di quel momento.
Poi, dopo un lungo, ennesimo, monologo interiore, il giovane drago balzò giù, verso il suo letto, dove era piegata la sua tunica preferita, quella nera con il drago a tre teste ricamato in rosso fuoco. La indossò, ritenendo inopportuno mostrarsi a Lyanna nuovamente svestito.
Prese anche BlackFyre, adagiata su d’un angolo della stanza, e la cinse al fianco. Si tolse poi la corona, solo per pettinare i lunghi capelli argentei, quindi ripose il bronzeo simbolo sul suo capo.
Con tutta l’eleganza e la raffinatezza della sua figura arrivò alle stanze di Lord Rickard e bussò.
“ Ma non è con lui che devo parlare! “ si disse e non attese risposta, recandosi dalla giovane lupa.
Le nocche toccarono tremolanti il legno della porta. Per la prima volta nella sua vita, Rhaegar provò una sorta di paura, ma le concesse qualche secondo di tempo, non di più. Quando Lyanna si mostrò, il Re d’Argento aveva riconquistato la sua risolutezza.
<< Mio principe! >> disse Lyanna, stupita alla vista del drago. << Cioè, mio Re! >> si corresse dopo aver notato la corona.
<< Lyanna, perdonate se vi disturbo a quest’ora tarda e inusuale, ma le parole che ho da dirvi fremevano per uscire e non sono in grado di aspettare ancora. >> La giovane lupa, come la mattina a colazione, perse la calma e il rossore in viso tradì l’agitazione, ma Rhaegar, impassibile, proseguì.
<< I miei uomini hanno preso Approdo del Re ed io, di nuovo, dovrò sedere sul trono di spade. Ciò comporta un enormità di obblighi e pensieri ai quali dovrò dedicare corpo e anima, per poter sperare di cambiare il regno. Tuttavia, una sola preoccupazione domina la mia mente. Voi Lyanna. Siete l’unica cosa meravigliosa che mi è capitata da dopo i tristi fatti di Harrenhal. All’epoca del torneo di voi conoscevo solo l’aspetto e poco più, eppure la rosa blu mi è stata compagna in tutti i dolorosi momenti che si sono susseguiti fino alla resa. L’ho lasciata sfiorire quando ormai il mio animo era distrutto, quando non covavo più nemmeno la speranza di potervi rincontrare.
Poi vostro padre mi scrisse ed io intrapresi il cammino che mi ha portato ad essere qui, oggi, di fronte a voi. Passo dopo passo ho ritrovato la forza di lottare per me e per la mia gente e lo devo principalmente a voi, Lyanna. >> Rhaegar respirò profondamente e proseguì. << In vostra presenza mi sento diverso, migliore, in corpo e in spirito. Eppure devo costantemente controllare ogni mio arto, perché siete così meravigliosa da far vibrare ogni singolo centimetro della mia pelle, siete l’unica in grado di far scorrere dei gelidi brividi per la mia schiena. Ogni giorno, al vostro cospetto, mi sento migliore, eppure così debole ed è una sensazione magica. Una sensazione che voglio provare ogni giorno della mia vita. Lyanna Stark solo al vostro cospetto posso comprendere il significato dell’amare. >> fece un’ultima pausa.
<< Lyanna Stark, volete condividere con me il fardello della corona come mia regina? >>


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

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18/01/2016 17:29
 
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La banca di ferro avrà ciò che gli spetta e non solo lei

L’ora del lupo era appena finita, l’alba si faceva sempre più vicina, ed era l’ora perfetta.
Mi allontanai dall’accampamento e mi diressi nella foresta; come ogni volta portavo con me un piccolo forziere in mogano intarsiato. Erano ancora vivide le incisioni e i bassorilievi scolpiti oltre dieci anni prima. Il mio debito doveva essere saldato, un debito che mi portavo dentro e che gravava sul mio cuore e sulla mia anima. Ero giovane e senza discernimento, e ciò che volevo lo avevo ottenuto, ora era tempo di pagare per i miei successi.
Tirai su il cappuccio e continuai a inoltrarmi nel fitto della foresta, passo felpato e falcata lunga. Sotto il pesante mantello un pugnale e una sacca da viaggio.
La luna splendeva alta nel cielo ma aveva già iniziato l’arco discendente verso occidente, il vento soffiava freddo da nord e i lupi ululavano al disco argentato che si ergeva nel cielo.
Ero seguito, una figura avvolta in un mantello nero come la notte camminava a non più di trenta metri da me, mi seguiva silenzioso come uno spettro di bruma in una mattina invernale. Sapevo che fosse e per certi versi ne avevo paura, era li e mi seguiva perché ero stato io a chiamarla, la donna che un tempo avevo amato era li, mi seguiva e mi avrebbe raggiunto presto.
La luce della luna filtrava dalle chiome degli alberi faceva entrare pallide lame argentee che di andavano a conficcare nel terreno. Passo dopo passo raggiunsi un piccolo altare in pietra; pensai che fosse li da secoli, crepato dall’acqua e annerito dal fuoco. Il vento aveva levigato le pareti e aveva fatto scomparire le scritte e le incisioni; al momento del suo massimo splendore doveva essere stato una delle più belle opere d’arte mai realizzate.
Arrivai davanti e dalla sacca estrassi tre monete d’oro: un dragone d’oro d’occidente, una moneta in ferro nero di Braavos e una triangolare di Qhoor; le misi sull’altare a espettai…
“Tre re hai deposto sull’altare… e tre volte sarai trattato come un re” la donna era davanti a me. Dall’altra parte dell’altare in pietra “chiedi tanto agli dei comandante, sei diventato avido” la voce era quella che ricordavo, dolce e soave, una melodia per le mie orecchie.
Da sotto il cappuccio uscivano ciocche di capelli biondo oro, sentivo i suoi occhi verdi scrutare dentro di me, arrivare sempre nel più profondo, di scatto allungo la mano verso di me, sapevo ciò che chiedeva. Voleva il mio sangue e il mio sangue avrebbe avuto, lo avrebbe avuto anche quella notte. Allungai la mano e presi il pugnale, mi tagliai il palo e feci scorrere il sangue sulle monete che iniziarono ad assorbirlo come se fossero fatte di stoffa. “Ancora una volta chiedi più di quello che gli dei posso offrirti, sei diventato avido mio signore…” la voce che prima era calda e confortante stava diventando sempre più fredda, la bruma si stava alzando e la luce della luna rendeva l’atmosfera sempre più lugubre.
Le monete avevano iniziato con l’assorbire il sangue e ora si stavano sciogliendo come se fossero dentro una fonderia, la donna tense ancora la mano verso di me, anche questa volta sapevo cosa voleva…
Quella sera fui riluttante ad accettare quel pagamento ma ormai era troppo tardi per tornare indietro, perché non si torna indietro da una strada come quella. “La banca di ferro avrà ciò che le spetta” una frase che risuonava come un monito per la maggioranza degli uomini, ma lei non era un’emissaria della banca di ferro, era portavoce di ben altre forze.
Aprii la cassa di mogano e ne estrassi un cuore, ancora tiepido, ancora gocciolante, per certi versi ancora vivo.
Quando lo posai sulla fredda pietra dal terreno salirono due serpenti di bruma, lo avvolsero e poi sparirono, si erano portati via il cuore e come sempre avevano lasciato una fiamma azzurra.
Sentivo i suoi occhi addosso, indagatori, accusatori e carichi di giudizio.
“Anche questa volta sei stato ascoltato, gli dei ti favoriscono mio signore. Cosa vuoi in questa notte di bruma e oscurità comandante?” la voce non era più fredda era irreale, non era ne di uomo ne di donna, ne di vecchio ne di bambino, era una voce che sembrava venire dall’aldilà.
Non parlai, cercai di liberare la mia mente da ogni pensiero, volta dopo volta diventava sempre più difficile, volta dopo volta la voce nel fuoco provava d entrare ne miei pensieri, e volta dopo volta cercavo di sbarrarle la strada ed ogni volta era sempre più difficile.
Combattei per ore, sen non per giorni o addirittura anni, lei voleva entrare ed io glielo impedivo.
“Il tuo nome è oro… il tuo palazzo è oro… d’oro la tua tomba sarà ed un giorno la tua sposa sarà oro…la mano viscida hai stretto e di nuovo la stringerai ma prima tradire tutto in cui credi dovrai… porti nel tuo cuore un segreto, un segreto fatto di sangue, fatto di fuoco… per denaro altre orme seguirai e l’ammiraglio senza flotta onorare dovrai… per una casa questo farai”
Il fuoco si spense in un lampo azzurro come il cielo terso di una giornata di primavera e l’altare si dissolse come polvere.
Sulla strada del ritorno pensai a quanto accaduto, non ero soddisfatto di quanto ottenuto ma non potevo chiedere altro agli dei. Sapevo bene che nessuno aveva mai avuto il coraggio di posare sulla tavola di pietra quattro re, ma in cuor mio sapevo che arei dovuto farlo; solo allora il mio debito sarebbe stato saldato.
Entrai nella tenda e mi misi a consultare le carte, ci saremmo dovuti muovere in fretta, avremmo dovuto mettere più leghe di distanza tra la compagnia e le truppe del leone. Ben presto avrei dovuto affrontarle in battaglia.





BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque










NEL GIOCO DEL TRONO:
Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata
01/02/2016 09:22
 
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Rickard Stark V - Pelle e Anima: Incubo di un giorno d’inizio inverno

Il mondo era un puntino blu al centro di un’enorme tela nera.
Concetti come l’universo e lo spazio infinito erano assurdi per lui ma, guardandosi intorno, si accorse che c’erano palline che sfrecciavano in percorsi invisibili legate a chissà quale altra cosa da chissà quale forza.
L’universo era agli albori e si stavano creando tutte le interazioni tra i corpi celesti. Su quelli dove le condizioni climatiche erano favorevoli, la vita cominciava a farsi largo. Come in un film accelerato, tutte le cose crescevano, morivano e si evolvevano in un balletto perfetto di armonia ed equilibrio.
Sul mondo che prima era un puntino blu, ma che prima ancora era stato anch'esso una palla rossa di fuoco, dall’acqua la vita prese a conquistare anche la terra: il verde cominciava a prendere piede.
Strane creature si arrabattavano per la sopravvivenza e nessuna di loro riusciva a cogliere l’infinita perfezione che l’evoluzione aveva disegnato perché le loro vite erano troppo brevi rispetto alla sua visione. Solo con questo sogno, dove in un battito di ciglia passavano anni e anni, si poteva apprezzare questa superba magnificenza.
Quando nacque, l’uomo non aveva particolari segni distintivi rispetto alle altre creature. Poi si sviluppò nella strada dell’intelletto e cominciò a farsi domande sul proprio scopo e a sentire il bisogno di qualcosa di superiore: ed è qui che la Sua attenzione ricadde sull’umanità.

Le stagioni forgiarono il mondo come lo conosciamo oggi: il ghiaccio ed il fuoco, nella loro eterna lotta, modificarono e modificano tutt’ora la terra mentre Eroi, miti, leggende, Dei, semidei e uomini prescelti aiutarono l’umanità a scrivere la propria storia.

Continenti sprofondarono, nazioni e culture furono spazzate via in un lampo così come altre, invece, nacquero quasi dal nulla nell’infinita ricerca della supremazia tra l’azzurro del ghiaccio e l’arancio del fuoco. L’equilibrio tra questi colori era mutevole come il vento, mentre l’Equilibrio, in Verità, era sempre garantito. Se anche uno dei due colori a volte sembrava che stesse prendendo il sopravvento, sempre qualcosa ristabiliva il tremolante equilibrio tra di loro.

Poi, d’un tratto, si svegliò.

Rickard Stark era solo nella sua tenda.

Molto aveva pregato i suoi Dei e poco questi gli avevano risposto. Dava la colpa alla distanza che lo separava dal suo Albero, ma la sensazione che fosse a causa della sua condotta riguardo ai Bruti era crescente nella sua mente e nel suo cuore.
Se anche la sua condotta, però, fosse realmente stata disdicevole, e anche se realmente questo avrebbe portato alla condanna eterna della sua anima in questo mondo e nei prossimi cento mondi a venire, era in ogni caso l’unica cosa che avrebbe potuto fare per salvare il suo popolo, il suo regno, i sette regni tutti e l’intero mondo dall’avanzata della Morte e del Gelo.
L’Inverno, quello vero, quello del mondo e non quello delle stagioni, stava davvero arrivando sugli uomini.
Non c’era alcuna via d’uscita se non quella di allearsi con le uniche persone che avevano la salvezza e la vita come obiettivo invece che il potere. Fosse anche costata la sua dannazione eterna, era questa la cosa giusta da fare.
Rickard Stark il Dannato, così lo avrebbe ricordato la gente? Oppure Rickard Stark amico dei Giganti, oppure ancora Rickard Stark trucidatore di dorniani? Magari Rickard Stark il Giusto...
Non gli importava un accidenti di nulla.
Solo una cosa aveva importanza ora: deporre gli eserciti nati per la bramosia di potere, devoti solo all’inganno ed avvezzi allo strisciare come serpi al limite della decenza umana per dedicare poi il resto della propria vita al servizio degli uomini per combattere gli unici veri nemici della vita e di ciò che è bello.
Avrebbe abbandonato il Gioco del Trono a personaggi inferiori. Lo avrebbe fatto non per elevarsi tra i molti, ma per abbassarsi tra i pochi che hanno capito lo scopo della propria vita, ed il suo scopo era il servizio: ristabilire l’ordine ed annientare la Morte prima che questa possa irrimediabilmente conquistare la terra che gli Dei diedero agli uomini.

Avrebbe lasciato il trono a Rhaegar e con questo il dovere e la responsabilità di difendere e governare il popolo che tanto amava. Avrebbe lasciato sua figlia a Rhaegar e con lei il ricordo più vivo che aveva di sua moglie accantonando, finchè gli Dei avrebbero deciso così, l’amore e la devozione che provava per lei. Avrebbe lasciato il Regno del Nord a suo figlio, se fosse sopravvissuto alla guerra, oppure -perché no?!- a Kong Tormund: era una persona di principi, seppur discutibili, e la sua gente aveva semplicemente bisogno di un po’ di terra e al Nord, che loro chiamavano Sud, molta terra era libera.
Avrebbe lasciato il mondo, un giorno, e lo avrebbe fatto senza rimpianti.
Un giorno, vicino o lontano, la Morte avrebbe bussato alla sua porta e lui l’avrebbe salutata da pari a pari, come una vecchia amica. L’aspettava come si aspetta una tenera amante, come si aspetta che il proprio grande e vero amore torni dalla guerra.
Era convinto delle sue scelte e le avrebbe fatte mille volte e ancora mille e mille.

Si alzò e prese le sue asce. Provò l’inspiegabile desiderio di lucidare Ghiaccio ma quella spada si trovava lontana miglia e miglia da lì. Imprecò senza aprire bocca e un grugnito da lupo salì dalla sua gola.
Uscì.
La giornata era fresca e una lieve brezza accarezzava quel poco di pelle del suo volto che barba e capelli non tenevano nascosta.
Volse lo sguardo verso nord, guardando il cielo che cominciava a prendere i colori del giorno.
Pensò a sua figlia quando vide nel cielo quella tonalità di azzurro di quel vestito che tanto le stava bene. Pensò alla Barriera e al sacrificio di quei valorosi soldati quando vide il colore dei riflessi del muro ghiaccio. Pensò all'acciaio.
Andò a prendere una birra e la sua giornata cominciò.
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04/02/2016 09:55
 
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Rickard Stark VI - La Storia di Pyp

Pyp era un ragazzo minuto con la faccia da topo, tranne che per gli occhi, aveva gli occhi di un pesce gatto già pescato da qualche ora.
Gli occhi dei topi, è risaputo, sono furbi: esprimono intelligenza e scaltrezza mentre i suoi esprimevano un misto tra apatia e deficienza.
Era magro e sembrava sempre malaticcio, nessuno si aspettava che lui avrebbe fatto grandi cose.
Gli avevano affibbiato il soprannome di Pyppaiolo, dato il suo scarsissimo successo con le donne e la facile, sebbene triste, assonanza con il suo nome.
Quando aveva deciso di provare a entrare nell'esercito del Nord, la gente del suo villaggio non riusciva a capire se lo faceva per cercare la morte o per pura stupidità, ma nessuno gli aveva impedito di imboccare questa strada, vuoi perché a nessuno realmente importava di lui, vuoi perché pensavano che nessuno avrebbe mai permesso che andasse davvero in battaglia.

Ed invece…

Dopo l’addestramento partì per la battaglia. Dopo settimane di marcia sotto neve, gelo e vento ghiacciato, era finalmente giunto, insieme ai suoi valorosi compagni, a Castello Nero.
Assieme ai Bruti guidati da Orell e dall'ex Comandante della Confraternita dei Guardiani della Notte, si erano lanciati in battaglia contro il nemico più terribile e difficile che chiunque nel Westeros avesse mai incontrato.
Aveva combattuto la sua personale battaglia contro lo scherno e l'aura di fallimento che si portava dietro da una vita intera. L'aveva combattuta e, per gli Dei!, l'aveva pure vinta.

Non aveva mai provato una paura simile come durante l’attimo prima della battaglia quando gli occhi azzurri di quelle creature gli avevano gelato il cuore. Poi, però, il furore e l’adrenalina gli avevano permesso di combattere come un vero lupo del Nord nonostante la scarsa portata del suo braccio.
Al termine della battaglia non avevano perso tempo e avevano subito cominciato ad allestire delle pire per evitare che quelle creature e i compagni caduti si rialzassero. Mentre quei corpi lasciavano per sempre questo mondo grazie al fuoco, la stanchezza della battaglia e del lavoro per assemblare quelle fascine di legno, che sarebbero potute essere il suo ultimo giaciglio, arrivò come un calcio dietro le ginocchia.
Ma non fece tempo a chiudere gli occhi nemmeno per un secondo che i Bruti che avevano scelto di rimanere a Nord della Barriera cominciarono ad arrivare alla spicciolata portando qualcosa da bere o da mangiare da condividere per festeggiare la vittoria sulla Morte.
Cominciò così un banchetto improvvisato e una festa in cui ogni soldato era celebrato e visto come uno dei più grandi eroi di sempre.
Pyp, che aveva passato una vita a essere più o meno ignorato costantemente, si trovò al centro delle attenzioni: uomini donne e bambini lo elogiavano e gli rendevano omaggio incuranti del suo aspetto che nulla aveva del grande guerriero.
Si sentì bene per la prima volta nella sua vita e capì che il suo posto era quello.
Venne conteso da un gruppetto di donne e ragazze brute che volevano a tutti i costi appartarsi con lui finchè due gemelle dai capelli biondi e con la faccia da strega, approfittando dell’inizio di una zuffa in mezzo a quel manipolo di eccitazione, riuscirono a portarlo di nascosto lontano da quella gente e da quel trambusto.
Grazie a quel liquore disgustoso, ma con un non so che di magico, gli fecero recuperare quello che in quegli anni si era perso. Per tutta la notte, fino al mattino dopo, per un numero imprecisato di volte, fino a che proprio dai suoi gingilli non usciva altro che una rada nuvola di fumo, le gemelle fecero di lui un uomo. Un uomo molto felice nonostante i lombi e le palle più che doloranti.
Con l’arrivo del sole, però, le ragazze si dileguarono soddisfatte mentre la stanchezza della marcia, della battaglia, della costruzione delle pire, della festa, della notte di sesso e dell’alcool arrivò come un cavallo da guerra lanciato al galoppo sul povero Pyp.

Nulla fu in grado di destare il ragazzo da quel sonno profondo di vittoria, di spossatezza e di sbronza. Nemmeno quando i suoi compagni e i guerrieri bruti decisero di smontare il campo e di spostarsi.
Se anche qualcuno si fosse posto una domanda su dove fosse finito il minuto Pyp, si sarebbe risposto che forse era morto in battaglia oppure, ricordandosi la colorita scenetta delle ragazze che lo contendevano la sera prima, si sarebbe risposto che aveva finalmente trovato il suo posto e che aveva deciso di disertare per rimanere in un posto dove era considerato un eroe invece che un miserabile.

Così nessuno lo trovò nella capanna appartata e nascosta dalle fronde di un albero diga dove, nudo e sotto strati di pellicce ammuffite, dormiva beato come un gatto di compagnia tra i cuscini della corte di una regina.

Dopo aver dormito per le stesse ore che aveva vegliato combattuto e lavorato si svegliò solo e nudo mentre fuori arrivava la nevicata più fredda che avesse mai visto.
Decine e decine di coppie di flebili luci azzurrognole avanzavano dal fitto degli alberi. Il gelo ghermiva il suo corpo e il terrore ghermiva il suo cuore proprio come il giorno prima.
Ricordandosi di non essere più Pyp il Pyppaiolo e ricordandosi la vittoria del giorno precedente afferrò la sua spada con la mano destra mentre con la sinistra trovò il suo corno. Ci soffiò dentro per allertare i suoi compagni, ci soffiò con tutto il fiato che aveva in gola, fino a farsi male ai polmoni.

La porta della capanna si spalancò che ancora lui era nudo e di spalle.
Il Gelo, che aveva già imparato a riconoscere, inondò la stanza.
Freddo. Buio.
Fine.

E poi un altro paio di occhi azzurri.
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La colonna di Braavos
Mi vennero a svegliare prima del sorgere del sole, la sera prima mi ero coricato presto rispetto al solito, mi dissero che erano arrivate nuove da Braavos.
Alzando dal letto sperai solo che fossero belle notizie, nuovi uomini pronti ad arrivare per far crescere il nostro numero, che i lavori per il palazzo doro fossero finiti.
Mi sciacquai la faccia e mi iniziai a vestire, tunica, cappa braghe e stivali; “sta migliorando il mio scudiero, ogni giorno cose pulite” pensai ridacchiando.
Arrivai nella tenda del consiglio ed erano tutti li pronti. Tutti gli alti ufficiali della compagnia erano riuniti. Erano arrivati anche quelli che avevo lasciato ad est e quelli che erano in missione. Poi c’erano due facce nuove, una giovane ragazza dai capelli scuri e gli occhi azzurri le acque del mare e un uomo di mezza età.
Entrambi avevano vesti sontuose anche se logore dal viaggio.
“Capitani, è un piacere avervi riuniti tutti qui oggi” cercai di trattenere lo stupore e la crescente rabbia.
Alios Qhaeda prese la parola: “questi sono il fratello e la figlia del signore del mare di Braavos, Lord comandante; sono qui oggi per portare messaggi e proposte”
“Grazie Alios” poi mi rivolsi ai miei ospiti: “Sono terribilmente spiacente di dovervi ricevere in un posto siile nel bel mezzo di una guerra in un accampamento polveroso e caotico. La mia tenda, se lo desiderate sarà vostra per tutto il periodo che desidererete restare con noi. A voi la parola.”
L’uomo inizio a parlare: “Io sono qui come scorta a mia nipote, lei è Ella, figlia del signore del mare, e porto doni.” Fece una pausa e poi riprese: “Porto oro e acciaio.”
“A cosa devo l’onore di tali doni?”, iniziavo ad essere più scocciato ed irritato che sorpreso, ormai potevo intuire dove lui volesse andare a parare.
“Sono doni che vogliono ricordarvi a chi va la vostra lealtà; ora io non posso dire altro, parlerà mia nipote” un inchino appena accennato e fece un mezzo passo indietro.
“Ella, parla e sii rapida, non tollero che la lealtà della compagnia venga messa in dubbio, tanto meno nel mezzo di una guerra” avevo indovinato lo scopo, ora era tutta subdola politica e un triste mercanteggio.
La ragazza fece un sospiro e poi iniziò a parlare “Se ben vi ricordate sono stata io a farvi avere il contratto che ora voi state apertamente ignorando, vi è stato dato del terreno per costruire il vostro palazzo, vi è stato concesso il permesso di addestrare le vostre truppe nelle terre di nostra giurisdizione, e il vostro debito con la Banca di Ferro è stato pagato con l’oro di Braavos. Ora mio padre mi ha mandata per rimettervi in riga e farvi tornare sui vostri passi. È a noi che va la vostra fedeltà.” La ragazza era sicura di se, tono perentorio ma non accusatorio.
“Mia cara Ella, sappiamo entrambi come funzionano le cose a questo mondo, sono poche le persone di cui ti puoi fidare, e io sono una di quelle.” Camminavo avanti indietro quasi annoiato per la tenda “Ora, sappiamo entrambi che quello che vuole tuo padre è difficile da ottenere, sono cambiate molte cose, e nella vostra cecità voi non riuscite a vederle.”
“E cosa noi non saremmo in grado di vedere?” Ella si stava alterando, evidentemente era come il padre, facile alla rabbia e all’ira. Dentro di me pensai che sarebbe stato un gioco da ragazzi.
“Non siete in grado di vedere i cambiamento del mondo, ogni giorno il mondo muta mille e mille volte. La forza della compagnia ad oggi non è tanto il numero, ma la capacità di avere informazioni da ogni angolo del mondo” mi sedetti su una sedia da campo e inizia a giocherellare con la daga.
“In ogni momento sappiamo cosa avviene in ogni angolo del mondo, con un giusto ritardo si intende, i nostri uccelletti cantano e volano come ogni altro”
“Sappiamo bene che la vostra rete di spie è grande e raffinata, ma anche noi ne abbiamo” continuò la ragazza; “sappiamo l’oro che avete nelle vostre casse e i vostri spostamenti ancora prima che li sappiate voi”
La ragazza aveva iniziato una sfida che non sapeva essere persa in partenza; “Potete sapere ciò che volete sulla compagnia, ma noi sappiamo i segreti che custodite così gelosamente nelle vostre segrete, sappiamo perché volete ciò che avete chiesto a noi, sappiamo i vostri fini e sappiamo le vostre debolezze. Potremmo entrare nel vostro palazzo e le vostre guardie guarderebbero altrove, i vostri capitani, i vostri ufficiali e lo stesso stato maggiore di tuo padre riferisce in toto alle nostre spie. Non c’è uomo nel vostro palazzo che non sia sul nostro libro paga, teniamo per le palle quattro delle sei gilde commerciali preseti a Braavos, conosciamo tutti coloro che ingaggereste per farci la pelle nelle città libere e gli stiamo più simpatici noi.” Ora li tenevo per le palle e avrei potuto ottenere oro a dismisura. “Ma la compagnia non è avvezza a rompere contratti firmati, non è nostro costume minacciare chi ci paga, ma è nostra abitudine difendere la compagnia prima di altri.”
Negli occhi di Ella fu visibile un lampo di terrore, ormai era chiaro che aveva perso il controllo su di noi, poteva solo sperare di scendere a patti.
“Non mi piace il tono con cui si rivolge a me, non mi piace essere minacciata da un comune mercenario, non oso essere umiliata davanti a così tanta gente. Potete ritenere concluso il contratto, tenetevi ciò che vi abbiamo dato, e non osate tornare a Braavos.” Era in piena collera, umiliata e ferita, pensai che sarebbe stato saggio gettarle un’ancora di salvezza.
“Nemmeno a me è piaciuto il vostro tono, e sono disposto a rivedere i termini del contratto…”
“Parlate comandante e Braavos ascolterà”
“Verremo trattati alla pari, non come dei cani a cui viene dato l’osso come contentino, vogliamo otto volte la ricompensa pattuita precedentemente, il nostro debito con la banca di ferro è nostro e di nessun altro. Avrete le teste che vi spettano e quanto detto nel contratto precedente, ma…le avrete nei tempi e nelle maniere che si confanno alla compagnia. Non vi intrometterete più nei nostri metodi e tu Ella resterai con noi come garanzia che la compagnia avrà ciò che gli spetta.”
“Non esagerate comandante, se voi volete un ostaggio ne avremo uno anche noi, e che sia di pari valore”
“Noi siamo uomini comuni, ad eccezione del giovane lupo, e lui non è in discussione, è un mio protetto.” Scegliete chi volete ma non sarà mai di pari valore” ormai la partita era vinta, non c’era nulla che potesse dire o fare.
“Allora interromperemo tutte le transh di pagamento, esse vi verranno consegnate nella loro interezza a contratto concluso assieme a quanto stabilito nei termini del precedente accordo.”
“Accettato, Accettato e tre volte ancora accettato, abbiamo un accordo, Mettiamo per iscritto e firmiamo; un’ultima cosa, vi sarà concessa una scorta di venti uomini armati più altri trenta tra servitori e maestri, non un uomo di più. Il vostro scudo più grande sarà la lealtà reciproca.”
Ella accettò, in effetti non poteva fare altrimenti, l’assemblea si congedò e ognuno tornò ai propri incarichi.
Fermai la ragazza prima che si congedasse, “A vostro zio non è permesso restare con voi, egli tornerà a Braavos sotto scorta degli ufficiali che torneranno ad oriente. Inoltre è so che è malato, a palazzo troverà i migliori cerusici e sacerdoti che la compagnia conosce, è un brav’uomo anche se di a tuo padre di diffidare di lui, soprattutto ora che non sarete li a proteggerlo.”
“Non mi piace questo secondo inizio, ma se condividerete con me quanto vi arriva d Braavos di rilevante potremo tornare ad essere amici”
Detto questo la feci scortare verso la mia tenda.
Un nuovo giorno era appena iniziato e tornai con la testa alla guerra che si stava combattendo.
Feci smontare l’accampamento e iniziammo nuovamente la marcia verso sud, come ogni giorno di marcia cavalcavo passando in rassegna tutti i reparti, parlando con la truppa così come con gli ufficiali minori.
Mi si affiancò Ella, “Scusa per prima, noi ci conosciamo da molto tempo, non volevo che mio zio venisse a conoscenza di ciò, mio padre è solo a Braavos e voi siete le spalle s cui si poggia, voi qui e i vostri reparti ad est. Avete la piena fiducia mia e di mio padre”
“Non c’è nulla da scusare, sappiamo entrambi che erano toni che dovevano essere usati. Finché avremo la vostra lealtà dentro e fuori i termini di qualsiasi contratto tuo padre non vacillerà finché non vacilleremo noi.” Era più di un contratto quello che mi legava al signore del mare, un debito di sangue. Suo padre mi aveva salvato quando ero giovane.
“Ero sicuro della vostra lealtà! Resterò con voi finché lo riterrai opportuno.”
“Tuo zio è partito con la scorta, sto addestrando alcuni uomini per farli diventare la tua guardia, resterai finché vorrai dopo il loro addestramento. Sono uomini di cui mi fido ciecamente, è bene che tu li abbia vicini quando tornerai.”
Detto ciò spronai il cavallo e partii al galoppo verso la testa della colonna: “Vieni ti voglio mostrare una cosa!” ed Ella mi seguì.





BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque










NEL GIOCO DEL TRONO:
Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata
18/02/2016 22:59
 
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Rhaegar VII - La pietra di Aerys

In qualunque maniera Rhaegar posizionasse quella pietra, questa non rimaneva mai ferma per una giornata intera, mai immobile. Se la notte era sopra un tavolo, la mattina il giovane drago si svegliava con il rumore della caduta... Se la lasciava in un angolo della tenda, la mattina era come minimo un metro più in là.
"L'ultimo dono di mio padre... La sua stessa follia!" si disse una mattina, mentre si sciacquava il viso. Non poteva neanche pensare di pensare che Aerys avesse ragione. Quella pietra non era un uovo, era un sasso, nulla di meno, nulla di più. E l'unica spiegazione per il moto di quel sasso era la follia.
"O l'ho spostato nel sonno o soffro di qualche disturbo della memoria."
Decise di lasciar perdere, per l'ennesimo giorno... Il pensiero non lo tormentò più per una settimana intera. Al sorgere del sole era già sveglio per occuparsi di strategia militare e questioni diplomatiche, come l'arrivo dei bruti. La sera s'adagiava sul letto che il sole era più vicino all'alba che al tramonto. Non aveva nemmeno le forze per scrivere a Lyanna.
Ebbe, tuttavia, l'opportunità di confidarsi con il suo fidato amico ser Arthur. Al termine di lunghi ordini per le truppe di Approdo del Re il giovane drago scrisse: <<
Arthur, tu sei stato uno degli uomini più vicini a mio padre nel tempo della sua follia. Ricordi quella pietra dalla quale non si staccava mai? Cosa ne diceva al riguardo? Perché io sono sul punto di impazzire. L'appoggio da una parte e mi sveglio ritrovandola tre metri più in là, la lascio sul tavolo e nella notte cade svegliandomi... Ho paura di essere sulla scia di mio padre e ho bisogno di risposte. >>
La guardia reale, purtroppo, non fu in grado di aiutare il re. Aveva sempre ignorato Aerys durante i vaneggiamenti...
Rhaegar trovò un po' di tempo per pensare solo dopo aver discusso con Tormund in merito a Lewyn Martell. Soddisfatto dell'esito della conversazione s'era recato ad un'osteria poco lontana, giusto per sviare momentaneamente i suoi regali doveri.
Più tentava di distrarsi, più il pensiero di quella maledetta pietra stringeva la morsa. Aveva bisogno di sapere qualcosa... Possibile che Aerys fosse così ossessionato da quella pietra? Era solo la sua follia? Oppure sapeva qualcosa? Domande che Rhaegar celava al mondo e quasi a se stesso. Sentiva la follia di suo padre scorrere in lui. Aveva bisogno di conforto, di qualcuno che gli stesse vicino... Ma il suo amore era lontano settimane, il suo migliore amico forse di più... Jon tale e quale, non c'era nessuno su cui far affidamento, se non se stesso.
Fu questa l'unica conclusione che Rhaegar, alla quinta birra, trasse. "Che i sette mi siano testimoni, vincerò questa guerra e costruirò un nuovo regno, che uno stupido sasso mi faccia andare via di testa oppure no. Io sono l'Ultimo Drago, non un Greyjoy qualunque!"
Tuttavia, il dubbio non lo abbandonava e il re decise di scrivere un paio di lettere a chi, forse, poteva sapere qualcosa. Jon in primis, poi allo stesso Aerys... In fondo aveva appena salvato ad un suddito di Balon, il finto re gli doveva una vita. Lo scambio gli parve equo... "Speriamo che quell'inetto abbia almeno il senso di gratitudine, dato che il coraggio e la giustizia non gli appartengono."
E così la penna si mosse e un corvo volò verso Pyke, uno verso il Nido e, infine, uno verso Winterfell, dove, al riparo dalla guerra, stava Lyanna.


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

Fui Lord Rickard Stark, protettore del Nord e, per qualche tempo, Primo Cavaliere del Re.

Fui Rhaegar Targaryen, l'ultimo drago, Re d'Argento.
23/02/2016 12:11
 
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Dio della Guerra
The White Walker
Old Oak
Cory era nervoso, tremava e non riusciva a stare in posizione. La cantina di Ullen era piena di uomini e donne armati abbastanza bene. Armi di acciaio, fornite dalla fratellanza... quella stessa per cui oggi molti di loro sarebbero morti.Erano stanchi di eserciti di Lord battenti qualsiasi bandiera che saccheggiavano, stupravano e portavano via il frutto del loro sudore e del loro amore. Il piano era semplice e preparato da diverso tempo. Aspettavano solo l'occasione giusta, quella di oggi. Le truppe Targaryen e i miliziani armati a loro fedeli stavano aspettando un contingente proveniente da Altogiardino ed erano tutti posizionate ai cancelli e sulle mura. Non avrebbero badato all'interno della città. La Fratellanza avrebbe preso loro di sorpresa e difeso con l'aiuto delle mura la loro nuova casa. All'appello avevano risposto in tantissimi sia residenti che dalle campagne limitrofe e la notizia dell'attacco Martell aveva permesso loro di ammassarsi dentro le mura con la scusa di sfuggire ai saccheggi. Erano migliaia come Cory, pieni di paura e speranza, rabbia e passione. Erano padri e madri, figli e figlie, persino nonni e anche qualche bambino, ma soprattutto... erano fratelli.

I suoni dei corni Targaryen si fecero eco tra le strade, i Martell stavano attaccando.
Cory si guardò intorno, volti pietrificati dalla paura, indecisi sul da farsi, tanto che anche lui cominciò a temere di non potercela fare.
Fu in quel momento che la giovane Beth, una ancella al servizio del vecchio Lord fedele ai Tyrell stuprata più e più volte da ogni invasore solo per il fatto di essere stata al servizio della Rosa, oltre che a quello di essere estremamente bella, diede un calcio violento alla porta della cantina aprendola.
"Andiamo ad ammazzarli tutti!!!" disse con gli occhi infuriati di chi non temeva la morte, di chi non temeva il nemico, di chi avrebbe vinto.
Cory si ritrovò spada in mano urlante per le vie della cittadina. Man mano che avanzava verso le mura una fiumana di gente usciva da case, magazzini, scantinati e botteghe, tutti armati, tutti decisi a vincere o morire. Dalle stalle del vecchio lord uscirono uomini a cavallo "Per i nostri Fratelli!!!". Sui tetti si tesero archi protettori. Cory ebbe nella mente il volto del primo miliziano che, voltatosi, realizzò cosa stava accadendo, poi solo sangue, urla e fuoco.

Il Lord avevano sottovalutato la Fratellanza... avevano sottovalutato il popolo.

Maestro Matiel era seduto davanti al fuoco del camino, in trance parlava in una lingua antica, una lingua risalente alla lunga notte, mentre Maestro Camyl trascriveva diligentemente su di una pergamena quello che sentiva. Maestro Lothorien era seduto nervosamente al tavolo con Maestro Aemilien e un nuovo adepto della Sacra cerchia della Fratellanza, Maestro Meneridico, chiamato Ico il giovane. Parlavano animatamente sul da farsi quando si aprì la porta sbattendo. Maestro Mance entrò con due soldati recanti una cassa. Sorrise e disse, scoperchiandola. Fratelli, con immenso piacere vi porto il Corno di Joramun.

Tutti tacquero, Maestro Camyl si voltò e e Maestro Mathiel nel suo stato di trance li terrorizzò "mag tuur,shadel im lakt'ulha... akarin Joramun apa R'hllor!"
Mance rise.... "Che la lunga notte abbia inizio e la Fratellanza sia la sola Luce!"
[Modificato da Mance 23/02/2016 12:11]


Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

Ed ora sono.... Il Buon Padre





Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
29/03/2016 14:16
 
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Consigliere del Re
Rhaegar VIII - Ser Arthur

Ser Arthur passeggiava annoiato per le vie della città, oscillando tra la noia e altra noia più profonda. Le strade erano pressoché deserte, tutti gli uomini e i giovani in grado di combattere erano sparsi per il regno perorando la nobile causa del loro re. La Spada dell'Alba ne sentiva un po' la mancanza, se non altro per poter duellare con qualcun altro del suo livello. Il suo comandante, Gerold, era troppo impegnato e svogliato per dedicarsi a un combattimento fine a sé, Barristan, invece, era semplicemente pigro. Così, il Dorniano era quasi disoccupato. Rhaella, infatti, usciva di rado della sua stanza e solo per lavarsi. Il piccolo Vyseris era custodito da ser Oswall e dalla balia che questi si scopava un giorno sì e l'altro anche... "Il draghetto avrà presto un amichetto se Whent va avanti così" pensò il cavaliere dalla cappa bianca entrando nel solito bordello.
Non era mai stato un tipo da puttane, ma ormai, non c'erano altre ragazzi guardabili da sedurre in giro. Quelle non chiuse in casa con il fazzoletto nero legato al polso erano fuggite dalla città, temendo attacchi nemici o sperando di trovare lavoro in qualche campo o in qualche locanda. Le uniche rimaste non avevano altro modo di guadagnarsi da vivere. Il valore dei sussidi ordinati da Rhaegar era stato fissato prima dell'impennata dei prezzi e il concilio ristretto era troppo preso da altre questioni. L'unico modo che avevano le donne del popolino di mangiare era rendere felici i nobiluomini troppo grassi per combattere.
Il bordello frequentato da ser Arthur era a pochi passi dalla Fortezza Rossa e vantava le migliori fanciulle di Approdo del Re e dintorni. Al cavaliere poco importava, andava sempre dalla stessa. Aryanne si chiamava, bassa di statura e scura di pelle, nera di capelli e dalle iridi marroni: la tipa ragazza dorniana.

"Ben tornato ser, come state?"
Il cavaliere odiava quell'uomo, che guadagnava sulla pelle di giovani disperate, per tanto rispose col silenzio.
"Taciturno come al solito vedo. Oggi Aryanne non c'è, però ti ho riservato la più bella tra le mie fanciulle."
"Dov'è Aryanne?"
"Vi ho detto, non c'è!" rispose arrogante, scatenando l'ira di ser Arthur.
"E io vi ho sentito, ciò non cambia la domanda, dov'è lei?"
Il tono gelido provocò un brivido nell'uomo, se così si può definire...
"Lei..." iniziò incerto. "Lei è malata."
"Allora perché c'è il suo soprabito là dietro?"
L'omuncolo proferì una sequela interminabile di menzogne, finché ser Arthur, infastidito, non estrasse il pugnale dalla cintola.
A quel gesto estremamente inappropriato per una guardia reale, il proprietario del bordello crollò e lo scortò sul retro, implorando pietà.
"Sono solo affari ser, voi comprendete, voi comprendete! Non posso permettere che rimanga incinta!"

Nella stanza sul retro un omone tanto brutto quanto forte premeva la testa della ragazza in una tinozza di acqua gelida. Si credeva, infatti, che il bambino in seno alla madre perisse se questa era sottoposta a stress eccessivo, come il rischio di annegare.
Onorando il giuramento che gli imponeva di difendere le donne e i deboli, la Spada dell'Alba si abbatté sull'aguzzino, liberando delle sue grinfie la bella fanciulla.
Riconoscendo il mantello bianco, l'uomo tanto brutto quanto vile non s'azzardò a reagire e chinò lo sguardo.
La giovane, ancora terrorizzata, s'aggrappò al collo del suo salvatore, che, lievemente turbato, non ricambiò l'abbraccio, ma le mise sulle spalle il suo mantello e si offrì di portarla nei suoi alloggi affinché potesse riposare e sentirsi più al sicuro.

"Grazie ser" disse dopo esser stata adagiata sullo scomodo giaciglio che era stato di Stannis Baratheon.
"Riposati" disse severo e fece per andarsene.
"Arthur, è tuo"
"No, per il mio bene e per il tuo, non lo è. E, comunque, non penso tu possa saperlo con certezza... Insomma, sei..." la galanteria crollava solo al cospetto di Rhaegar, con le altre persone la Spada dell'Alba era molto più ponderato nel linguaggio.
"Una puttana. Non aver paura a dirlo, lo so, sono una puttana e so cosa significhi per una guardia reale avere un figlio, so cosa significhi averlo da una puttana, ma è tuo ed è giusto che tu lo sappia. Non ho mai accolto il seme di nessun altro, te lo giuro su gli antichi dei e quelli nuovi."
Ser Arthur scappò da quella stanza e corse nel bagno più vicino a vomitare il pranzo, la colazione e la cena del giorno prima. Un po' per l'immagine di tutti i lord o i falsi signorotti che avevano dormito con la madre di suo figlio, un po' per la tensione che gli chiudeva lo stomaco. Aveva bisogno di parlare con qualcuno... "Dov'è quello stronzo quando serve?! Maledetto draghetto, perché mi hai lasciato dall'Arryn e non mi hai portato con te verso Lyanna, non sarei in questo casino ora."

"
Caro Rhaegar,
non disturberei il tuo vigile sguardo con questo foglietto se non fosse di estrema importanza. Ho combinato un casino. Un grosso casino. Anche se, forse, tanto grosso non è... Non lo so, sono un po' incasinato al momento. Su quello che era il letto di Stannis ora c'è un puttana... E' un po' che approfitto del suo lavoro... sai, la guerra ha portato via tutte le fanciulle del popolo e non posso fottermi le nobildonne di corte... Va bhè, questo è secondario. Ti dicevo che c'è di là questa puttana... Anche se quando riceverai la lettera non ci sarà già più, ma va bhè... E lei dice che è incinta, di me. E io non posso avere figli legittimi. Però, Rhaegar, non voglio condannare una donna e un bambino ad una morte di stenti. Sappiamo entrambi che una puttana incinta non lavora e Aryenne non avrà i soldi per nutrire se stessa e tantomeno un pargolo. Non so cosa fare. Ho ancora una volta bisogno del tuo consiglio, da amico, non da re. Cosa dovrei fare? "

Rhaegar notò dal tratto il nervosismo della sua spada giurata. L'attenzione di ser Arthur era reale e tangibile, degna di un valoroso cavaliere, pronto a sporcarsi l'onore per evitare sofferenza ad una fanciulla. La maggior parte dei cavalieri frequentava bordelli... Tra le cappe bianche si narra che un conoscente di Ser Duncan l'Alto, comandante della guardia reale di Aegon l'improbabile, abbia ottenuto il titolo di "ser" perché un cavaliere non aveva il conio per pagare la verginità della sorella... Tuttavia, un conto è frequentare un bordello, un altro era mostrare al mondo il figlio avuto da una prostituta.
Rhaegar percepiva il tormento del suo amico e voleva far qualcosa per aiutarlo. Pensò subito di riconoscere il figlio come membro della casata Dayne, ma doveva comportarsi da re prima che da amico e permettere ad una guardia reale di avere un figlio non era un'azione da re. Le conseguenze sarebbero state tangibili.

"Caro Arthur,
sai bene non posso consentire il riconoscimento del bambino come un Dayne, tanto meno come tuo figlio. Egli crescerà come Waters e non ti chiamerà mai padre, non finché potrà essere udito. Ricordati, amico mio, che anche i muri hanno orecchie ad Approdo.
L'onore che ti ha fatto cavaliere e mia spada ti spinge ora a garantire un futuro a questo Waters. Non si dica che Re Rhaegar Targaryen condanni alla morte un bimbo non ancora nato e la madre sofferente a causa della guerra.
Così sia, parte di quel poco conio che ricevi per le tue spese personali verrà consegnato a codesta donna, tre monete d'oro ogni dieci. Ella vivrà così una vita umile, ma non dovrà più prostituirsi e potrà crescere Waters fin quando egli non avrà raggiunto l'età di otto anni. A quel punto lo prenderai come scudiero ed egli ti affiancherà nel compito di Guardia Reale. Farai di lui un guerriero nobile d'animo e lesto di spada. Quando sarà pronto lo nominerai cavaliere ed egli sarà libero di scegliere il suo destino.
Arthur, questo è il massimo che posso concederti e lo sai bene. Ti giuro, però, che se dovessi leggere ancora una volta parole simili userò BlackFyre per tagliarti le possibilità di ingravidare un'altra donna.
Rhaegar"

Diciasette anni dopo, durante un torneo per ricordare la fine della guerra per il trono, Haegrar Waters spezzò sette lance contro ser Barristan Selmy, prima di disarcionarlo e approdare in finale contro il re.
[Modificato da BigBangCastle 29/03/2016 14:16]


Mace Tyrell, Lord di Highgarden e protettore del Sud

Fui Lord Rickard Stark, protettore del Nord e, per qualche tempo, Primo Cavaliere del Re.

Fui Rhaegar Targaryen, l'ultimo drago, Re d'Argento.
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