SECONDA BATTAGLIA DI ALTOGIARDINO
Pdv Corale
Nelle ultime settimane la situazione della guerra a Sud era mutata drasticamente.
Mentre erano ancora a Lannisport, il Re era stato raggiunto da una lettera segreta che lo aggiornava su alcuni decisivi sviluppi sulle battaglia avvenuta a Nightsong.
Dopo aver letto il rapporto, Aerys diede subito ordine di cambiare i programmi di viaggio -per i quali sarebbero dovuti andare a Castel Granito- per dirigersi a sud.
Aerys si stava esponendo a un grande pericolo ma aveva deciso di andare dove c'era più bisogno di far sentire la presenza del Re.
Già dal loro arrivo ad Alto Giardino via nave, lungo il fiume, si resero conto degli evidenti segni della battaglia precedente.
La fiducia verso i Lannister era venuta meno e Lord Mace aveva dato ordine di attaccare il contingente dei leoni in arrivo ad Alto Giardino. Al costo di importanti perdite, i Tyrell avevano inferto ai Lannister un durissimo colpo.
Gli esploratori Tyrell però avevano già preavvisato che il peggio doveva ancora venire.
L'esercito Tyrell si era mosso velocemente. Dopo aver conquistato Nightsong e aver retto, grazie all'aiuto degli uomini Lannister, a un primo tentativo di riconquista da parte del nemico, si era ritirato nell'Altopiano, lasciando solo l'esercito del leone a difesa della città.
Esercito che nulla avrebbe potuto di fronte alla potenza combinata dei dorniani e dei Baratheon, se non rallentarne e indebolirne l'avanzata verso Alto Giardino.
Esercito che ora non aveva più nulla a fermarlo e che sarebbe giunto presto alle porte della città.
Lord Randyll Tarly non era un uomo che si perdeva in inutili gentilezze e salamelecchi, soprattutto in tempo di guerra, per cui accolse il Re e il suo sparuto seguito con una cortesia marziale. Anche Aerys era consapevole della situazione per cui non si aspettava niente di più.
Erano arrivati appena in tempo. L'esercito nemico sarebbe giunto a distanza di pochissimo tempo per cui i preparativi erano già in stato avanzato.
Ser Arthur non aveva l'arroganza di pensare di poter cambiare l'esito dello scontro con la sua presenza, ma voleva comunque fare la sua parte. Aerys sarebbe stato ovviamente nelle retrovie e al sicuro, ben protetto da fidati cavalieri Tyrell e dai cavalleggeri Targaryen. Dayne aveva chiesto e ottenuto di poter partecipare alla battaglia tra le prime linee.
Fece sellare e preparare il suo destriero da guerra. Aveva il pelo nero come la notte, che faceva un contrasto notevole con la bardatura bianca della Guardia Reale. Dayne aveva sempre apprezzato quel contrasto cromatico. Probabilmente non sarebbe arrivato ad usare la cavalcatura, ma doveva farsi trovare pronto nel caso fosse necessaria.
Indossò la sua armatura smaltata di bianco e fissò il suo mantello con le spille che gli aveva donato il lord comandante Quentin. Sistemò Alba nel fodero lungo la schiena, mentre lasciò appese alla sella un mazza ferrata e una lancia lunga.
Quando salì sulle mura per vedere l'esercito nemico schierato, fece immediatamente le sue valutazioni.
Le forze combinate Martell-Baratheon sembravano avere la supremazia numerica.
Dayne sapeva che i numeri da soli non facevano vincere le battaglie, ma di certo erano di aiuto.
Chiuse gli occhi e innalzò una preghiera silenziosa al Guerriero.
Era pronto per la battaglia.
L'inizio della battaglia non si fece attendere. Forti della loro superiorità numerica, l'esercito Martell-Baratheon si schierò attorno alle mura e iniziò presto il primo assalto.
Dayne abbassò la celata del suo elmo riducendo tutto il suo mondo a quella piccola fessura per gli occhi.
Prima arrivarono i dardi di balestra. Una pioggia nera e incessante, alla quale Alto Giardino rispose con le balestre e le catapulte poste sulle mura. La battaglia iniziò a riscuotere il suo debito di sangue. Ci furono i primi morti in entrambi gli schieramenti.
Un armigero Tyrell proprio di fianco a Dayne si sporse dalle mura per osservare la strada che portava alle porte principali.
"Stanno avanzando verso le-" stava dicendo. Cadde dalle mura con un dardo di balestra conficcato in un occhio.
Dayne restava ben riparato dietro le merlature ma anche a lui non sfuggì l'avanzata delle forze nemiche.
Quando si attaccava una città nemica, la maggior parte delle volte era più saggio condurre un assedio. Lasciando che fosse il tempo a combattere e fiaccare i propri nemici dentro le mura. Ma Dayne sapeva che non era questo il caso.
I Martell e i Baratheon avevano l'estrema necessità di conquistare una vittoria che fosse quanto più rapida possibile. Nelle loro terre, dietro di loro, truppe nemiche stavano avanzando conquistandosi tutto. E se avessero provato a cingere la città, sarebbero arrivati degli aiuti a rompere l'assedio ben prima che la città cedesse per fame.
Da qui la necessità di dare fin da subito l'assalto alle mura, anche a costo di grosse perdite che ci sarebbero sicuramente state da entrambe le parti.
Molti soldati nemici erano giunti sotto le mura. La pioggia di quadrelli si era interrotta in modo da permettere loro di innalzare le scale.
Dayne sguainò Alba. Dopo qualche minuto comparve il primo uomo tra due merli. Ricadde indietro senza neppure riuscire a mettere i piedi sul camminamento.
La lama bianca della sua spada bevve il suo primo sangue della giornata. Una giornata che sarebbe stata molto lunga.
Una delle cose più complesse della formazione di un cavaliere che fosse chiamato a ruoli di comando era acquisire la capacità di restare concentrato sul singolo duello in cui era immerso, mentre cercava di mantenere l'attenzione sull'andamento generale della battaglia.
In questa situazione Dayne era facilitato dalla sua posizione sopraelevata rispetto al campo di battaglia.
Dall'alto delle mura era riuscito a percepire che la foga del primo assalto stava calando. I pochi nemici che arrivavano in cima alle mura venivano immediatamente respinti.
Ai cancelli principali, però, la situazione sembrava volgere al peggio. Con un ariete coperto, gli assalitori erano ormai giunti alle porte e senza prendere adeguate contromisure, l'esercito nemico sarebbe riuscito a dilagare in città.
Arthur Dayne arretrò dalla prima linea e cercò con lo sguardo la postazione di Randyll Tarly.
Quasi in risposta al suo sguardo, Tarly fece alzare la bandiera per comunicare il segnale.
Dayne lasciò la difesa delle mura agli altri armigeri Tyrell e iniziò la discesa verso i cavalli.
Mentre scendeva le scale ripulì la lama di Alba e la ripose nel fodero dietro la schiena.
Quando arrivò ai cavalli, ad aspettarlo di fianco al suo destriero da guerra c'era un cavalleggero che impugnava uno stendardo con lo stemma dei Targaryen. Montò in sella insieme agli altri cavalieri Tyrell. Della rosa dorata in campo verde c'erano due stendardi.
Dayne impugnò la lancia lunga e si avviò al trotto verso l'uscita nascosta che li avrebbe portati direttamente sul campo di battaglia all'esterno delle mura.
Una volta usciti tutti, Dayne fece mettere gli uomini in posizione e sempre al trotto si avviò lungo le mura per condurre la sortita contro gli assalitori alla porta principale. Le mura di Alto Giardino si innalzavano alla sua destra. Alla sua sinistra si allargava la vastità dei campi coltivati e pieni di fiori dell'Altopiano.
Seguendo la curvatura delle mura, Dayne iniziò a scorgere il fianco destro delle armate Martell e Baratheon. Fece dare il segnale e accompagnato da squilli di tromba la sua compagnia accelerò al galoppo.
"Per Alto Giardino!" gridò qualcuno.
"Per il Re!" gridò Dayne. "Targaryen!" aggiunse qualcun altro.
I soldati nemici che stavano cercando di sfondare la porta cercarono di organizzare le difese contro la carica.
Formarono una linea di scudi, ma dall'alto delle mura frecce e quadrelli crearono dei varchi tra gli uomini.
A qualche metro dalla linea di scontro Dayne scagliò la lancia contro un soldato dalla livrea gialla e nera. La velocità del galoppo aveva impresso notevole forza alla lancia che trafisse la gola dell'uomo da parte a parte. Dayne afferrò giusto in tempo la mazza ferrata dalla sella per colpire alla testa un altro soldato nel momento dell'impatto con la linea nemica.
Gli assedianti erano stati presi di sorpresa e la compagnia di cavalleria attraversò le linee nemiche come un coltello nel burro.
"Dietro front!" urlò Dayne. Fece voltare il cavallo e si preparò alla seconda carica.
Dopo il secondo passaggio, la maggior parte degli uomini aveva lasciato l'ariete ed era arretrato. Da un punto del campo di battaglia, Dayne sentì squilli di tromba. I reparti di cavalleria del nemico si stavano avvicinando al galoppo.
Ser Arthur fece riorganizzare gli uomini a cuneo e fece suonare la carica a sua volta.
Con la mazza ferrata protesa in avanti, il pennacchio di seta bianca del suo elmo che svolazzava nel vento, Dayne galoppò contro il nemico.
Molti anni erano passati dall'ultima volta che Aerys aveva impugnato in battaglia Altofuoco, la sua spada valyriana.
Il suo polso non aveva più né la scioltezza né la velocità di un tempo, i suoi muscoli non erano quelli della gioventù, né il suo coraggio era quello spregiudicato di un adolescente in cerca di gloria.
Eppure Aerys sentì di non potersi in alcun modo sottrarre a quella che considerava una chiamata del destino.
Attorno alle mura di Alto Giardino Casa Tyrell e il Trono Targaryen non si giocavano soltanto la vittoria, ma la loro stessa sopravvivenza.
Se avessero perso quella battaglia, il castello di alleanze che avevano costruito attorno a sé sarebbe caduto come fosse fatto di carte, anziché di pietra.
Tutto ciò per cui si era industriato negli ultimi mesi conduceva a quel momento. Casa Tyrell si era dimostrato lo strumento perfetto con cui egli aveva plasmato la propria volontà di potenza. Il martello con il quale picchiare il Westeros fintanto che dal nudo acciaio della sua terra non fosse stata forgiata la spada del dominio Targaryen.
Dalla morte degli ultimi Draghi mai la sua casata era stata così potente come ora.
La battaglia di Alto Giardino avrebbe decretato se la scommessa di Aerys si sarebbe rivelata vincente, ed egli non voleva lasciare che il fato decidesse da solo.
Aveva vestito l'armatura del Drago, e gli sembrò un secolo dall'ultima volta che lo aveva fatto.
Un po' più stretta, un po' più pesante, ma ancora capace di ricoprirlo di voglia. Voglia di vivere, voglia di vincere, voglia di affermare che egli era Aerys II Targaryen, figlio di Jaehaerys, Sangue del Drago, Fuoco sulla Terra, ultimo erede di Valyria.
Dagli spalti del bastione principale Aerys vide Ser Arthur Dayne organizzare lo sparuto manipolo di cavalieri Targaryen al loro seguito, al fine di contribuire nei limiti del possibile a dare battaglia all'immane esercito che si era presentato dinnanzi a loro.
Sotto di lui la battaglia infuriava, il cielo era oscurato dalle frecce che sibilavano senza sosta da una parte e dall'altra, grande era la strage di uomini Tyrell, un sacrificio che, se avessero vinto, Aerys avrebbe equamente ripagato.
Randyll Tarly guidava la difesa, un uomo brillante, uno stratega di valore incontestabile. Non proprio un uomo carismatico, forse.
Aerys voleva gettarsi nella mischia, ma sapeva che ancor prima delle armi era il morale a vincere le battaglie.
Si rivolse ai soldati che combattevano sulle mura, a quelli nella piazza d'arme, che predisponevano catapulte e altre macchine da lancio. A tutti coloro che osservavano i loro compagni morire sulle mura, e che poco a poco perdevano speranza nella riuscita dell'impresa di sopravvivere.
"Uomini! Compagni! Soldati! Io sono Aerys II, della Casa Targaryen, Re sul Trono di Spade e amico leale delle genti dell'Altopiano. Ma oggi non sono che un uomo spaventato, come tutti voi. L'esercito che ci assedia oltre quelle mura è un esercito smisurato, che ha un unico obiettivo: distruggere se stesso insieme a noi. La loro vittoria sarà nella nostra morte, e solo in essa. Combattete oggi dunque non solo per la gloria dell'Altopiano, non solo per difendere le donne, i bambini, gli innocenti che popolano e animano questa nostra bella città, non combattete per il vostro Re, né per un Trono così lontano da voi.
Uomini!
Oggi voi combattete contro il terrore, combattete contro l'irrazionalità, contro un nemico brutale che sarebbe disposto a uccidersi pur di portarvi con lui, combattete perché domani sorga ancora il sole contro l'oscurità della follia.
Compagni!
Oltre quelle mura un mostro divora i cuori e la mente di generali e lord, animati da una cieca e furiosa volontà di distruzione. Oltre quelle mura l'obbedienza senza pensiero si è fatta dispotismo, e se quelle mura saranno oltrepassate non ci sarà un domani per noi. Per nessuno di noi.
Proprio ora, davanti ai nostri occhi, un manipolo di Cavalieri Targaryen si erge minuscolo, eroico, davanti a un'orda invincibile. Quale sarà la nostra risposta?"
Aerys sguainò Alto Fuoco, puntandola verso il cielo.
"Questa è la mia! Un Cavallo, per i Sette Dei! Con me, amici miei! Compagni, l'ora delle scelte irresolubili è giunta! Alla carica!"
Balzò sul camminamento e scese fino ai piedi della piazza d'armi. Montò sul suo destriero bianco, che travolto da quell'impeto si impennò sulle due zampe posteriori.
"MOOOOOORTEEEEEEEEEEEEE!!!"
Urlò lanciandosi fuori dal ponte levatoio, seguito da decine di cavalieri della Rosa di Alto Giardino.
"UAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!"
"MORTE AI TRADITORIIIIIIII!"
"SEGUITE IL REEEEEE!"
Nel frattempo, lungo il Mander, la recluta aveva bisbigliato "Cazzo quanti" e subito dopo "ma non dice niente?" e aveva guardato nella direzione del capitano.
Si era beccata un manrovescio da uno dei veterani.
"Finocchietto, il Triste non parla quasi mai e se ti aspetti un discorso da eroico damerino delle ballate... te ne tiro un altro."
Il gigantesco Andrik aveva poi fulminato tutto il proprio equipaggio con un'occhiata minacciosa e aveva semplicemente detto "Sbarchiamo".
Si trovavano sul Mander, ad Alto Giardino e stavano osservando l'avanzata dell'esercito assediante.
Erano venti Uomini di Ferro su una nave lunga, il solo vascello presente nei pressi dello scontro.
Sapevano cosa fare.
Dalle Isole avevano oltrepassato gli Scudi ed avevano risalito il Mander fino alla capitale dell'Altopiano.
Ed ora erano tutti pronti a seguire il loro capitano, uno degli uomini più grossi, forti e temibili generati dalla roccia.
Andrik il Triste abbassò il proprio elmo, l'altro braccio - enorme - stringeva una gigantesca ascia da guerra.
La nave lunga toccò la riva.
Il temibile guerriero con un salto fu a terra e si lanciò contro il manipolo dei nemici giunti a dare loro "il benvenuto".
Lo fece in spettrale silenzio.
Il suo equipaggio lo seguì.
Urlando "Vecchia Wyyyyyyk!!!"
"Vecchia Wyyyyyyk!!!" Urlò Fardek insieme ai compagni mentre compatti scendevano a riva.
Erano solamente un ventina, ma una ventina di squali valevano ben più di cento pesci da fondale basso.
Il nemico li aspettava e appena scesero a terra subito un nugolo di dardi li investì.
“Muro di scudi” l’urlo del primo ufficiale sì udì rabbioso nella battaglia, gli uomini di ferro si erano già mossi e la prima fila di dieci uomini si era schierata, altri sette coprivano le loro teste. Fardek e altri due si erano rannicchiati al cento della cerchio difensivo.
“Io le odio queste fottute balestre...” bofonchiò Fardek tra sé, i suoi compagni gli misero la mano sui fianchi uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, l’altra mano la posero entrambi sotto il cavallo. “Ragazzi fate piano, non è ancora arrivato il momento di giocare con le picche.” mentre esprimeva il suo sarcastico cameratismo ai compagni anche nel furore della battaglia contava mentalmente le salve nemiche, non dovevano esserci più di quattro uomini armati di balestra tra quelli che li stavano assediando. Così continuò a contare fino a quando trovò un periodo morto di una ventina di secondi tra una raffica e l’altra.
“Ora” la voce dell’uomo era udibile solo dai suoi compagni, che erano in attesa di quel segnale, il muro superiore si aprì con un movimento provato in mille battaglie, gli uomini che lo tenevano per le gambe lo spinsero verso il cielo sollevandolo ben al di sopra delle teste dei compagni. Era completamente allo scoperto ora, facile bersaglio per i nemici , ma lui sapeva di avere tutto il tempo necessario, con lo sguardo del predatore individuò la sua vittima. Era un ragazzo con una livrea color del grano indossava un elmo a cupola con nasale fisso, i capelli castani si intravedevano ai lati. Stava ricaricando la balestra quando per un istante incrociò gli occhi con quelli di Fardek, e in quel momento fu cosciente della sua morte.
“Giù” Fardek venne fatto scendere e il muro di scudi venne ricompattato. L’ascia dell’uomo di ferro roteò verso il ragazzo e lo colpì in pieno petto riuscendo a superare la cotta di maglia, la ferita iniziò a sanguinare copiosamente, ma la vita aveva abbandonato il balestriere nel momento dell’ impatto quando il freddo e pesante acciaio di Vecchia Wyk gli aveva fracassato lo sterno.
Le salve si fecero più rade.
Altre due volte Fardek fu sollevato e altre due balestrieri nemici caddero sotto il filo del sue asce prima che il comandante nemico ordinò la carica.
A quel punto Fardek lasciò cadere l’ascia da lancio ed estrasse accetta e spada corta.
“Prepararsi a reggere l’impatto” Il primo ufficiale diede l’ordine mente i primi picchieri avversari caricavano a testa bassa.
“Io le odio queste fottute picche...”
Sean un ragazzo della prima fila cadde con la gola trafitta da una picca.
Rimanevano solo diciannove uomini di ferro.
Un mulinare di asce spezzò molte aste e teste avversarie che furono costretti a ripiegare.
“Vecchia Wyyyyyyk!!!" fu l’urlo carico di gioia degli uomini mentre esultavano battendo le asce contro gli scudi.
“Seconda carica” il primo ufficiale diede l’ordine.
I picchieri avanzavano compatti, quando le aste si alzarono pronte ad impattare quando...
“Aprite!” il muro di scudi si aprì in due ali, gli uomini Baratheon non ormai sbilanciati per l’impatto corsero in malo modo in mezzo al vuoto che si era venuto a creare.
“Chiudere” il muro si compatto alle loro spalle mentre venivano macellati da Fardek e compagni che li attendevano come l’abbattitore attende i manzi al mattatoio.
Ancora un volta l’urlo “Vecchia Wyyyyyyk!!!" riempì il campo di battaglia.
Altri tre uomini di ferro rimasero sul campo, trafitti dalle lance avversarie.
Rimanevano solo sedici uomini di ferro.
“Avanti” questa volta la voce non era quella del primo ufficiale, ma era il Capitano Andrik a dare l’ordine con un sussurro di voce, un ordine che probabilmente era un invito a nozze con la morte.
Fardek guardò gli uomini che aveva davanti, a colpo d’occhio dovevano essere una cinquantina. Si voltò verso l’uomo che aveva di fianco “Non crepare prima di averne ammazzati un paio che altrimenti me ne rimangono troppi da buttar giù e non ho voglia di metterci tutto il giorno.”
L’altro gli sorrise e sputò per terra. Poi entrambi partirono alla carica.
Il nemico fu colto di sorpresa da una mossa tanto ardita da sembrare folle. All’ inizio gli uomini di ferro avevano avuto la meglio. Cinque uomini erano caduti sotto le lame di Fardek prima che la cavalleria Martell caricasse dal fianco sinistro e li costringesse a ritirarsi sulla nave.
Quattro uomini erano morti in quell’ultimo assalto.
Rimanevano solo dodici uomini di ferro dei venti che erano partiti.
Fardek era stato ferito ad una gamba da una picca nemica, e un suo compagno l’aveva dovuto sorreggere mentre tornavano verso la nave. Sicuramente non avrebbero fatto la differenza in quell’ immane battaglia dove centinaia di migliaia di uomini stavano combattendo. Ma come era solito dire “Uno di meno è sempre uno di meno.”
La battaglia continuò implacabilmente ad esigere il suo tributo di sangue.
Lo scontro era durissimo e numerosi i caduti da entrambe le parti.
Dayne aveva guidato la cavalleria Tyrell a scontrarsi con quella del cervo e del Dorne.
Dopo lo scontro iniziale, i due schieramenti si mischiarono tra loro. Si combatteva in ogni metro. Dayne si concentrava su un nemico poi, dopo averlo abbattuto, sul successivo e così via in un ciclo che parve non finire mai.
La sua mazza ferrata era uno spettacolo da far rivoltare le budella. Grumi di sangue rappreso e cervella ricoprivano la testa d'acciaio dell'arma. Ma concentrato nello scontro, Dayne nemmeno la vedeva. Menava colpi a destra e sinistra, parava gli affondi degli avversari e cercava di organizzare i suoi uomini sul campo.
La loro inferiorità numerica iniziava a farsi sentire quando dalla città sentì degli squilli di tromba.
Si voltò e vide il ponte levatoio abbassarsi. Uscì il secondo reparto di cavalleria dei Tyrell.
Alla testa della colonna di uomini, Arthur riconobbe Aerys nella sua armatura nera e rossa.
Il suo cuore saltò un battito.
Non appena uscirono gli uomini a cavallo, il ponte levatoio venne risollevato, rimettendo la città al sicuro.
Arthur non si aspettava di vedere il Re combattere in prima fila. O meglio, se l'aspettava ma sperava che Aerys non cedesse alla suo indole di drago e rimanesse al sicuro dietro le mura della città.
"Uniamoci al Re!" urlò agli uomini che lo circondavano.
Diede di speroni e fece girare il cavallo per andare a incontrare Aerys sul campo di battaglia.
Ora che era sceso in battaglia, il posto di Dayne era al suo fianco. Doveva garantirne l'incolumità e la salvezza, anche a costo della propria vita. E questo era un sacrificio che era pronto a fare.
Si aprirono la strada tra i nemici, a caro prezzo, fino a congiugersi con il secondo reparto di cavalleria.
Dayne riuscì ad arrivare proprio di fianco ad Aerys.
Non si rivolsero nemmeno la parola. Entrambi concentrati sulla battaglia. Dayne divenne l'ombra bianca del Re. Ora combattere divenne ancora più difficile per lui. Oltre a dover attaccare e difendere se stesso, doveva pensare a difendere e contrattaccare anche chi provava a colpire Aerys.
Questa seconda carica di cavalleria aveva risollevato l'umore degli uomini Tyrell che iniziarono a combattere con una furia che prima non avevano. L'inferiorità numerica passò in secondo piano e per un attimo Dayne si concesse il pensiero di poter comunque vincere lo scontro.
Proprio in quel momento si sentirono dei corni provenire dal retro delle linee nemiche.
Dopo i corni si sentirono i tamburi.
Forze fresche stavano giungendo a dare man forte agli assedianti.
Dayne alzò lo sguardo. A capo dell'esercito in marcia riconobbe subito un uomo che svettava su tutti gli altri.
Aveva un'armatura verde con lunghe corna di cervo dorate.
I corni suonarono di nuovo. Dayne non aveva mai sentito un suono peggiore.
Ormai l'immane battaglia di Alto Giardino, per gli Uomini di Ferro, si era ridotta al furioso combattimento sul ponte della loro nave lunga.
Uno della ciurma gridò disperatamente: "Capitano Andrik...ne arrivano altri" ed indicò con il terrore nello sguardo l'enorme colonna Baratheon che, a marce forzate ed al suono di corni da guerra, aveva ormai raggiunto il campo di battaglia.
Per ogni nemico che il gigantesco Andrik abbatteva, se ne facevano sotto altri due ed ormai le vele della nave iniziavano già a bruciare.
La nave lunga dei Tully stava subendo la stessa sorte...
Il Triste abbattè altri due assalitori e in un attimo di tregua ordinò ai tre uomini rimasti con lui: "Giù! Seguitemi" e si tuffò nel Mander per guadagnare a nuoto la riva opposta, al momento risparmiata dai combattimenti, e riorganizzarsi.
Ogni Uomo di Ferro, sulla propria nave, è un re.
Andrik il Triste aveva appena perso il proprio regno.
Ma non la propria voglia di combattere.
Fardek avanzò zoppicando verso il tendone dove erano stati stipati i feriti. C'era un grande via vai, persone entravano portando feriti a braccia o su barelle improvvisate, altri invece uscivano scaricando i cadaveri su un grande carro poco distante. Alcuni di questi cadaveri si muovevano ancora, ma lo avrebbero fatto solo per poco.
L'odore che usciva dalla tenda era nauseabondo, l'odore dolciastro di putrefazione e di sangue, l'odore rancido del vomito e del piscio, l'odore di morte che si mischiava con quello delle feci.
Il rumore non era da meno. Lamenti e grida , uomini che piangevano come bambini invocando la propria madre o la porpria amata. C'era chi invocava la morte e chi malediva i propri nemici e chi invece malediva i propri alleti.
"Ehi amico, non abbiamo tempo per dare retta a chi ha solo un graffio." gli rispose un uomo coperto di sangue, con in mano una piccola sega.
"Sono qui a vedere un amico." Rispose Fardek.
Spostandosi di lato per superare l'uomo, un moribondo gli afferrò la mano.
"Amico ho sete, dell'acqua."
L'uomo di ferro abbassò lo sguardo, chi gli stava parlando era un uomo in farsetto verde lacerato e sporco, probabilmente un abitante della città. Aveva un moncherino alla posto della gamba destra, poco sotto l'inguine aveva una fasciature completamente inzuppata di sangue.
"Amico ho sete, dell'acqua ti prego"
Fardek lo fissò in volto, lo sguardo del l'altro era perso nel vuoto.
Poi estrasse la fiaschetta di liquore che aveva nella casacca e l'accosto all'uomo che bevve avidamente.
"Grazie dell'acqua," gli sorrise e poi fu preso da un attacco di tosse e la sua bocca gli si riempì di sangue. Sputò e riprese a parlare, "vivo accanto al mercato, quando mi sarò rimesso sarai mio ospite."
"Bene amico, contaci" rispose Fardek, mentre il suo interlocutore perdeva i sensi.
Il volto del suo compagno era piagato, di un rosso vivo, un liquido ambrato ricopriva la superficie. Non aveva più sopracigli ne capelli. Anche il resto del corpo era ustionato, in alcuni punti la stoffa del abito non era stato rimossa per evitare di strappare la carne viva.
L'uomo passava dalla coscienza all'incoscienza, delirava, ogni suo respiro era una sofferenza.
Fardek gli si sedette accanto. "Cos'è successo amico?"
L'uomo parve non sentirlo neppure, le orecchie erano moncherini neri di carne maciullata.
Fardek allora prese una sorsata dalla fiascetta del liquore e stesse seduto in silenzio per alcuni minuti accanto all'amico.
"...fuoco...fuoco..."
Questa era l'unica parola che ripeteva in maniera sensata quando era coscente.
Ferdek passo un'ora in quel luogo dando fondo all'intera riserva di alcol che aveva con sé.
Fermò un uomo che sembrava essere lì per assistere i malati.
"Ehi, cosa è successo a quest'uomo?"
Lui osservò l'uomo ustionato.
"E' un uomo di ferro di quelli che il fiume ha risputato fuori dopo che la loro nave ha preso fuoco. Quei bastardi dei cervi devono aver usato l'altofuoco, ho sentito dire che persino l'acqua bruciava."
Fardek sputò per terrà. "Io odiò l'altofuoco.."
Poi tornò a rivolgersi all'uomo afferrandolo per un braccio mentre questo si stava già dirigendo verso un altro ferito.
"Sopravviverà il mio amico?" domandò l'uomo di ferro.
"Certo..." rispose l'altro che sembrava scocciato "...fino a sera magari" aggiunse poi strattondosi via dalla presa.
Fardek allora fissò l'amico, poi estrasse il proprio pugnale e lo appoggiò sotto il plesso solare del uomo ustionato, spinse con decisione spaccandogli il cuore.
"Ciò che è morto non muoia mai" sussurrò a voce bassa mentre una lacrima gli scendeva calda sulla guancia destra.
La battaglia infuriava. I caduti erano innumerevoli da entrambe le parti.
Ogni secondo che passava, Dayne si rendeva conto di quanto fosse importante quella singola battaglia per l'intera guerra.
Dall'arrivo sul campo delle nuove forze Baratheon gli equilibri della battaglia erano tornati a favore degli assedianti.
Ser Arthur aveva dovuto lasciare la mazza ferrata incastrata nella spalla di chissà quale uomo e ora combatteva con Alba in pugno. La sua lama bianca era ricoperta di sangue in varie sfumature di rosso, da quello più secco a quello più fresco.
Aerys e Robert sembravano cercarsi e rincorrersi all'interno della marea dello scontro. Ma quello scontro era un mare in tempesta e le onde li facevano avvicinare e allontanare in modo incontrollato. Finora non erano ancora riusciti ad incrociare le loro lame, ma i due si stavano avvicinando sempre di più e Dayne sapeva che ormai era questione di tempo.
Un uomo dei Baratheon si stava distinguendo. Dayne non conosceva il suo nome, ma aveva un ampio ventre a botte, braccia muscolose e un collo da toro possente.
Si stava aprendo la strada verso Aerys. Dayne si mise sulla sua strada. Prima di arrivare al Re avrebbe docuto scontrarsi contro di lui.
Quell'uomo abbatté un uomo dei Tyrell e si ritrovò di fronte alla Spada dell'Alba.
"La Spada dell'Alba? Per me? AH! Troppa Grazia!"
L'omone battè il pugno contro la massiccia piastra pettorale "non voglio la vostra pelle, Ser, voi siete un uomo d'onore"
"Non conosco il vostro nome. Ma al momento siamo su schieramenti opposti in questa battaglia.
Se ne aveste la possibilità vi aprireste la strada verso il Re e lo uccidereste. Tanto mi basta per cercare di impedirvelo."
"Dite? Il vostro Re deve preoccuparsi di Lord Robert, cavaliere. È lui che il sovrano ha tradito, io sono solo un umile fabbro"
Donal Noye porta indietro le spalle, sistemandosi la piastra pettorale con le grosse dita. "Perchè lo avete fatto? È stata una vigliaccata"
"Credo, Donal Noye, che questo non sia né il luogo né il momento più adatto per fare della diplomazia.
Voi siete un semplice fabbro, dite. Io sono un cavaliere della Guardia Reale. Nessuno di noi due ha il potere di fermare ciò che sta accadendo."
Dayne spronò il cavallo per andargli incontro.
"AH" Donal Noye si abbassò la celata sugli occhi e fece ruotare il polso che reggeva la mazza ferrata. "Un peccato che uomini ragionevoli debbano morire per una guerra senza senso" e queste furono le sue ultime parole prima di dar di sprone e avventarsi sul suo avversario.
I cavalli da guerra vengono addestrati per partecipare attivamente allo scontro dei loro padroni, sbuffando, mordendo e scalciando. Quello che avrebbe fatto un vero cavaliere era esattamente questo: sfruttare i ben noti vantaggi dati dall'essere in groppa ad un cavallo ben addestrato.
Tuttavia Donal Noye era tutto tranne che un cavaliere, quindi caricò in modo abbastanza bovino e ignorante Ser Arthur Dayne.
Il fabbro aveva messo in conto che il cavallo avrebbe pensato a salvarsi la pelle piuttosto che incontrare la punta di Alba che a questo punto costituiva un mostruoso vantaggio, anche in termini di allungo, per il cavaliere in bianco.
Si può dire che Ser Arthur fu moderatamente stupito quando il cavallo di Donal gli mosse incontro senza avanzare per affiancare il suo, com'era uso. Tecnicamente, la mossa corretta era puntare la punta della sua spada verso l'avversario, così che cavallo e cavaliere deviassero la propria corsa.
E invece, ripreso fermo controllo della bestia all'ultimo secondo, Donal Noye la mandò a piantarsi direttamente su Alba. I versi che emise il cavallo furono orribili, mentre si impennava diventando un unico vortice di calci e violenza.
La famigerata Spada Bianca avrebbe trapassato il cavallo senza pensieri: lo avrebbe letteralmente aperto in due con un colpo correttamente caricato ma quella era stato un infilzo scomodo, da volgare spiedo, e Noye era un GRANDIOSO figlio di baldracca.
I cavalli si rovesciarono portando con sé Alba e Cavalieri. Un bel casino!
Dopo qualche istante, la Ser Arthur si liberò dalla sua bestia non sapendo se cosa l'avesse stordita o uccisa. Il cavallo di Donal Noye continuava a soffrire in modo orribile a qualche passo dal Cavaliere Bianco, con un infame squarcio sanguinolento grondante interiora provocato dalla terrificante torsione che Alba aveva causato durante il tafferuglio.
Avrebbe continuato a soffrire un altro po' se un fischio e un tonfo assai preoccupanti non lo avessero freddato sul posto.
"Alzati." disse Noye sporco di sangue e merda, con lo sguardo da Folle sotto la celata, "Prendi la tua Spada", continuò, mentre con la mano sinistra impugnava un'ascia dalla lama ricurva.
Pronti a un altro passo di Danza,i contendenti, scossi ma pressochè illesi, ingaggiarono nuovamente battaglia.
"Ho perso lo scudo" si lamentò il fabbro mentre portava Alba fuori dalla sua figura, ancorandola con l'ascia.
Il colpo di rientro gli aprì la piastra del cosciale destro mentre, con cura meticolosa, la sua mazza percuoteva selvaggiamente il Cavaliere Bianco. Fosse stata una spada normale, quella di Ser Arthur, la vittoria sarebbe potuta essere di un umile, seppur gigantesco, fabbro della Tempesta.
Invece, la Lama di Alba gli portò via il braccio sinistro e l'ascia, ma non la violenza.
Non la furia.
Il suo corpo enorme travolse quello del Cavaliere Bianco spedendolo in un mondo di oscurità, dolore e sangue.
Dayne aveva sottovalutato il suo avversario.
Errore da principiante. Che io sia dannato.
Donal Noye aveva chiamato se stesso un "umile fabbro". Umile lo era di certo, dato che avrebbe potuto tranquillamente dichiararsi come "valente guerriero".
Quello che stava combattendo con quell'uomo non era un duello di cui avrebbero cantato i menestrelli. Era il lato più brutale e reale della guerra. E di solito non finiva nelle canzoni. Non toccava le menti dei giovani cavalieri che sognavano la gloria della battaglia. Ma ser Arthur Dayne non era più un giovane cavaliere e quella non era la sua prima battaglia. Aveva già ballato prima sulle note di quella musica, per cui avrebbe risposto a Noye colpo su colpo.
Alba aveva troncato di netto il braccio sinistro del fabbro, ma questo non l'aveva affatto fermato. Anzi, pareva avergli dato ulteriore forza e violenza.
Spinse in avanti il moncherino e un fiotto di sangue inondò l'elmo della Spada dell'Alba.
Per questo motivo non vide Noye gettarglisi addosso, ma lo sentì. Sentì tutto il suo peso e tutta la sua forza che lo spingeva a terra.
Pestò con la schiena e una fiammata di dolore gli percorse tutta la schiena.
Per fortuna non aveva perso la presa di Alba, ma non poteva vedere e non aveva lo spazio per mulinarla come avrebbe voluto.
Con la mano sinistra guantata d'acciaio provò a sferrare un pugno, ma andò a vuoto.
Donal ricambiò, trovando il bersaglio senza problemi.
Il destro del fabbro gli fece vibrare tutto l'elmo, ma fece schizzare via dalla celata quel tanto che bastava di sangue e fango perché Arthur intravedesse l'obiettivo.
Questa volta mosse il destro e colpì Noye con l'impugnatura di Alba.
Donal rotolò di lato e Arthur ebbe il tempo di rialzarsi.
Sapeva che lo scontro era tutt'altro che finito.
Il fabbro gli aveva a malapena lasciato il tempo di rialzarsi.
Era come se Dayne fosse una lama d'acciaio che Noye dovesse battere e battere sull'incudine fino a piegarlo secondo la propria volontà.
Noye gli si lanciò addosso, riducendo lo scontro a un corpo a corpo. A quella distanza ravvicinata Alba era pressoché inutile.
Si scambiarono pugni guantati di acciaio. Ogni pugno di Noye era meno forte del precedente. Dal braccio mozzato continuava a perdere sangue ed era già un miracolo che quell'uomo riuscisse a reggersi ancora in piedi.
Avvinghiati l'uno all'altro, a meno di un piedi di distanza l'uno dall'altro, Noye tirò indietro la testa e l'abbasso con forza, tirando una testata a Dayne.
Il rumore dell'acciaio contro l'acciaio riempì le orecchie di ser Arthur come se nel mondo non ci fosse più nient'altro suono.
Entrambi gli avversari barcollarono all'indietro. Noye cadde in ginocchio.
La testata aveva ammaccato l'elmo di Dayne e ora si ritrovava con una visuale ridotta.
Ser Arthur sapeva che era da sciocchi togliersi l'elmo sul campo di battaglia. Solo nelle ballate i cavalieri combattevano con i capelli al vento. Ma sarebbe stato ancora più da sciocco passare il resto della battaglia a combattere praticamente alla cieca.
Slacciò la stringa di cuoio sotto il mento e si levò l'elmo. I capelli erano impiastrati di sangue e sudore, e nonostante tutto fu piacevole sentire un po' di aria fresca direttamente sul viso.
Vide che il fabbro veniva soccorso da uno degli uomini Baratheon. Dayne lo ignorò. Aveva combattuto bene e con un po' di fortuna in più, avrebbe potuto raccontare ai suoi nipoti di quando aveva ucciso in battaglia la Spada dell'Alba.
Dayne cercò con lo sguardo il Re. Lo vide combattere poco lontano. Era ancora a cavallo.
Un soldato Baratheon, forse vedendolo senza elmo e pensando di avere gioco facile, si lanciò contro di lui, spada in pugno, mirando alla testa.
Dayne fece un profondo respiro. Deviò la lama del soldato con Alba e con un colpo ascendente si aprì la strada tra cuoio, stoffa e pelle sulla gamba destra dell'uomo, che rovinò a terra urlando.
Dayne si lasciò alle spalle anche quest'altro soldato e iniziò ad aprirsi la strada verso Aerys.
Il suo posto era di fianco al Re.
I tonfi sordi del martello di guerra si mischiavano sul campo di battaglia alle grida di chi aveva avute le membra spappolate ed al gorgolio secco della morte.
Era diventata ormai quasi un'abitudine e quella guerra in cui era stato trascinato suo malgrado dagli intrighi di Lord Tyrell e dall'empietà di suo zio, il Re folle, cominciava sempre di più a piacergli.
Certo, ormai le terre della tempesta erano perdute, anche se in realtà lo erano dal momento in cui casa Targaryen s'era allineata alle politiche della rosa dorata; ma dopotutto questo fatto gli aveva permesso finalmente di sgravarsi delle attività di governo per dedicarsi alle uniche due occupazioni in cui eccellesse: il sesso e la pugna.
E così ogni giorno, oramai da quasi una luna, si ripeteva ciclico sempre col proprio martello in mano tra una carica di cavalleria e il rinfrancante abbraccio di una mignotta. Sì, colpire i Tyrell presso la loro capitale era stato un atto temerario, ma da questa scommessa rischiosissima dipendeva il futuro della guerra e forse dei sette regni: strappando i fiori più belli dell'Altopiano, certamente Mace Tyrell non avrebbe potuto proseguire il suo cammino egemonico.
Già da alcuni giorni gli era capitato di scorgere non molto lontano Aerys con la sua lussuosa armatura, ma aveva sempre evitato di andargli incontro, lasciandosi invece trascinare dalla foga degli scontri ravvicinati. Per il momento preferiva ancora concentrarsi con l'antipasto, in attesa di concludere la guerra con una martellata o con la richiesta di pietà....
L'arrivo di forze fresche Baratheon e Martell aveva inevitabilmente indirizzato l'esito dello scontro.
Considerata la consistenza delle forze ancora asserragliate nel maniero la sconfitta non era un'opzione che potesse realizzarsi.
Le forze nemiche fuori da Alto Giardino e quelle presenti dentro Alto Giardino quasi si equivalevano, ragion per cui mai gli assedianti sarebbero riusciti con le proprie loro forze a scardinare quelle mura.
D'altro canto, neanche al Re e ai suoi alleati sarebbe stato possibile risolvere la battaglia in campo aperto.
A questo punto davanti agli occhi del Re si spalancavano due possibilità: resistere a oltranza all'interno di Alto Giardino, lasciando che i ribelli facessero man bassa di vettovaglie e materie prime in tutto l'Altopiano, oppure effettuare una ritirata strategica che trasformasse una finta conquista in una trappola mortale.
Osservò i Cavalieri Baratheon seminare strage fra le fila dei Tyrell, osservò il numero dei suoi Cavalieri assottigliarsi sempre di più, pensò che quel giorno un altro Targaryen avrebbe forse considerato il momento ottimo per morire. Magari avrebbe fronteggiato Robert, un uomo più giovane, più forte e, in quella piana, con dieci volte i suoi cavalieri a dargli supporto. Magari un Targaryen più incline alla sconfitta gli si sarebbe comunque avventato contro, cercando la gloria e la morte. Lui non lo era, non lo era mai stato. La vittoria era in suo pugno, bisognava solo saper attendere ancora qualche giorno.
Che i ribelli assaporassero pure quel momento di gloria, presto le possenti mura di Alto Giardino sarebbero divenute la loro tomba.
La battaglia era perduta.
Sulla città sarebbero presto sventolati i vessilli del Cervo e del Sole. Alto Giardino era caduta. E con lei erano caduti anche innumerevoli uomini.
Ci sarebbe stato il tempo per analizzare la situazione generale e capire il da farsi. Ma non in quel momento.
In quegli istanti la priorità di Ser Arthur Dayne era mettere in salvo il Re. Impedire che cadesse prigioniero in mano nemica. Proteggerlo anche a costo della propria vita.
Un soldato Baratheon si era avvicinato alle spalle di Aerys. Stava per colpirlo con un fendente, ma Dayne intercettò il colpo con Alba e gli aprì la gola prima che l'uomo si rendesse conto di cosa fosse successo.
Dayne si guardò intorno. Vide un cavallo dal pelo castano vagare inquieto senza cavaliere.
Si avvicinò e ne prese saldamente le redini.
"Buono adesso." sussurrò mentre saliva in sella. Non era il suo cavallo, ma era un buon animale e soprattutto, non era ferito.
Diede di speroni e si portò a fianco di Aerys.
"Maestà, non possiamo più restare qui. Dobbiamo andarcene."
Aerys incrociò lo sguardo della sua spada giurata per un lungo momento. Poi annuì grevemente.
Dayne si aprì una strada tra i nemici, per portare al sicuro il Re.
La lama di Alba, bianca come latte all'inizio della battaglia, ora era completamente rossa.
E prima di poter mettere al sicuro il sovrano, la spada avrebbe bevuto altro sangue.
"Ser Arthur vi siete battuto come un leone oggi."
Aerys sorrideva. L'estrema e folle resistenza dei suoi avversari lo eccitava, come un cinghiale che si dibatteva fino allo stremo delle sue forze per sfuggire alla lancia del cacciatore.
"Lord Lannister e Lord Baratheon sono i migliori avversari che avrete modo di incontrare nella vostra vita, presumibilmente. Assaporate appieno questa sconfitta, vi renderà più dolce il sapore dell'imminente vittoria."
Aerys voltò il cavallo, radunando i suoi cavalieri.
"A me, uomini! Cediamo il campo ai ostri valorosi nemici. Lasciamo che bevano, che amino e che si riempiano le pance pensando alla loro vittoria, i nostri fratelli ci attendono a poche leghe da qui. Stasera ci riuniremo a loro da fuggitivi, domani torneremo su questo campo per riprenderci ciò che è nostro."
Fardek era nella cantina insieme a molti altri, si teneva sul fondo della sala, nella penombra. La gamba era oramai solo un fastidio, un fastidio che lo rendeva claudicante certo, ma che non gli avrebbe impedito di combattere.
La sala era fumosa, c'era il brusio costante che si sente nel scuole o nelle chiese di quando troppa gente ha voglia di parlare anche quando dovrebbe fare silenzio e ascoltare.
C'erano soldati dell'esercito sconfitto, c'erano poveri e mendicanti, c'erano cittadini che temevano per il loro futuro e c'erano molti fanatici sparsi qui e là nei punti giusti della piccola folla.
"Amici, fratelli non possiamo certo accettare quello che il destino ha scelto per noi." disse l'oratore che era salito in piedi su di una sedia e si era messo a parlare a gran voce "i nobili e i ricchi non sono stati in grado di salvare le vostre case dall'invasore, hanno combattuto e hanno perso. Il Re è fuggito come un cane con la coda tra le gambe quando ha visto messa in pericolo la sua vita fregandosi di Altogiardino."
Alcuni dei presenti scossero la testa, ma subito qualcuno grido "Bravo hai ragione" aizzando la folla.
"Ecco un altro di quei buffoni della fratellanza" pensò Fardek gettando uno sguardo verso il giovane che aveva lanciato l'applauso. L'uomo di ferro aveva già ascoltato quelle parole nell'arcipelago prima di partire, erano parole di rivolta e di complotto, erano parole di ribelione e di congiura, erano le parole del "Buon padre" della "Fratellanza senza vessilli"
"Lord Tyrell che fa? si ingrassa ad Approdo come un maiale. Lo avete visto forse arrivare con il suo petaloso cavallo alla testa dei uno squadrone di cavalieri per salvare la città? Lo avete visto piangere e sanguinare per la sua città , per la sua gente?"
"No" gridò dalla folla una donna.
"No, sorella non c'era," riprese l'oratore indicandola "Non dei nobili è questa città, non dei nobili sono case, attività e vite. Siamo noi fratelli, il popolo che deve unirsi e combattere l'oppressori. Stanotte mostreremo agli invasori che le spine della rosa di Altogiardino sono il suo popolo. Combattiamo l'invasore già stremato, combattiamo il cervo e il doriano, difendiamo le nostre case e le nostre vite. Fratelli impugniamo spade e lance, archi e balestre e combattiamo nelle strade, nei vicoli e nelle case, che il sangue nemico bagni la rosa dei Altogiardino. Come in questa cantina, in altre cento di questa città c'è gente, ci sono uomini e donne valorosi pronti a combattere, pronti a vincere, perché nostra sara la vittoria, nostra sara la città e la gloria."
La folla esplose in un urlo di giubilo.
"Moriranno come degli scemi" Pensò Fardek guardando la gente che si dava pacche sulle spalle e si abbracciava festeggiando la vittoria di una battaglia non ancora combattuta. " moriranno tutti e lo faranno per un cazzo. Loro pensano di andare a trucidare soldati feriti e indifesi, ma dopo tutto questo assedio i vincitori sono carichi di adrenalina e distruggeranno questa città macellano tutti quelli che gli si oppongono, tutti quelli che si metteranno tra loro e il loro trofeo, ma non solo ammazzeranno chi cazzo gli pare, stupreranno, saccheggeranno e daranno fuoco a meta di questa fottuta città e poi vedremo se la rosa di Altogiardino profumerà ancora. Ai Baratheon e ai Martell fotte un cazzo di sto buco, lo hanno preso per fare un dispetto al Tyrell, e come gli avessero pisciato sulle scarpe nuove. Quelli se sono furbi faranno quello che vogliono per un paio di giorni e poi se ne andranno spronando i cavalli e lasciando una montagna di sterco dietro di loro e questi coglioni chi ho davanti non faranno che ingrossare quella montagna."
Fardek si fece largo tra la folla, salì le scale rientrando nella taverna, ordinò una birra e spese una della ultime monete estraendola dalla taschino della camicia che aveva recuperato la sera precedente da una casa del quartiere, quando ormai la battaglia era persa e la divisa dei Greyjoy non avrebbe portato altro che problemi. Si massaggiò la gamba, avrebbe combattuto, ma non questa notte.
Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!
Ed ora sono.... Il Buon Padre
Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.