Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
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PdV Sesta partita

Ultimo Aggiornamento: 19/09/2017 07:10
19/09/2017 06:58
 
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Dio della Guerra
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L'arrivo della delegazione
Pdv Corale Greyjoy e Baratheon

Balon Greyjoy, dopo aver lasciato Harrenhal, si era recato in tutta fretta verso Pyke.
Al Re ed alla delegazione mandata per indagare sulla Fratellanza aveva fatto recapitare una nota con la quale si scusava di non poter viaggiare con loro, adducendo come motivo la necessità di precederli a Pyke per preparare degnamente la loro accoglienza.
Una volta arrivato a Pyke, con un leggero anticipo sulla delegazione, aveva dato ordine a Lord Botley di alloggiare per una notte gli ospiti a Lordsport per poi scortarli, il mattino successivo, al castello di Pyke, dove li avrebbe formalmente accolti.
La delegazione reale era giunta il mattino seguente. Il viaggio fu particolarmente celere, grazie alla nave lunga messa a disposizione con grande slancio e generosità da Lord Hoster Tully, ma il Re non lo trovò egualmente confortevole. Gli scafi delle navi lunghe, per loro stessa natura agili e veloci, non erano però dotati degli spazi, degli agi e delle comodità cui un Re poteva dirsi abituato. Esse erano pensate per la guerra da corsa, per inseguire navi più lente e pesanti, per aggirarle, per superarle e, infine, per abbordarle. Era uno spazio pensato per uomini duri, navigatori di professione, gente che aveva preso il mare come sposa ed ogni volta che usciva fra le onde metteva in conto di poter dare a quella sposa l'ultimo abbraccio, quello della morte.
La vista delle Isole di Ferro dalla prua aguzza della nave lunga Tully appariva affascinante. Il mare era agitato, mosso quasi al punto da impensierire il Re, che cercava di tranquillizzarsi pensando a come invece quei moti ondosi risultassero normali per gli autoctoni. Il cielo era plumbeo e grigio, così che quasi non si distingueva la linea dell'orizzonte fra le acque e le coltri del firmamento.
In mezzo a tanto grigiume svettavano aguzzi picchi di roccia, quasi pugnali puntati contro gli Dei celesti dall'unico signore di quelle terre, la divinità oscura degli abissi, affinché non osassero avvicinarsi ai suoi domini. La solidità, la ferocia, la quasi primitiva semplicità ed efficacia delle difese di Pyke era uno spettacolo per gli occhi di Aerys. Era curioso di capire se gli uomini di ferro rispecchiassero quella visione, o se la loro leggenda fosse solo il frutto delle innumerevoli amplificazioni nate dal passaggio di una storia da una bocca all'altra, per generazioni.
Ser Arthur Dayne cavalcava al fianco di Re Aerys, aprendo la delegazione in arrivo a Pyke. Il viaggio in mare era stato tranquillo e veloce.
Arthur non era mai stato prima sulle Isole di Ferro e la cosa che lo colpì immediatamente era l'estrema durezza dell'ambiente e degli uomini. Le fortezze e i porti erano semplici ed essenziali così come lo erano gli uomini di ferro.
Per certi versi, c'era da imparare dalla loro tenacia, forza e semplicità.
D'altro canto, da quanto aveva sentito dire, gli uomini di ferro erano difficili da governare. Ogni uomo era un re sulla propria nave, si diceva. E quando ciascuno si abitua ad abbaiare ordini poi diventa meno incline a seguire quelli dei propri superiori.
Arthur smontò da cavallo pensando che sarebbe stato interessante vedere come si sarebbero comportati quegli uomini nell'accogliere una delegazione dal Continente che comprendeva perfino il Re in persona.
Gli si rivolse a Lord Bryen che, Come i suoi ben più nobili accompagnatori, non essendo abituato alle onde ed era più che lieto di rimettere i piedi a terra. "Seconda tappa, eh?"
Lord Dayne gli sorrise e confermo con un cenno di capo.
Nel frattempo un altro uomo giungeva a Pike per unirsi alla carovana reale, un uomo che oltre la sa spada era latore di oscure notizie.
Lord Gulian Swann aveva passato una settimana di malessere e di febbre. E quando la sua salute andava migliorando, era dovuto partire con la delegazione del Re, poichè aveva giurato sulla sua presenza..
Nonostante potesse essere una minaccia ulteriore alla sua salute, l'aria fredda e aspra della Baia di Seagard lo aveva come ringalluzzito. Ma tutto passò in secondo piano quando, poco prima di partire, giunse nella sua tenda la missiva proveniente da Stonehelm, in cui si portava notizia dell'attacco ai danni di Blackmont e di un possibile scenario di guerra.
Così, partendo in ritardo da Seagard rispetto agli altri, ordinò che venissero solcati i mari in direzione di Pyke o delle sue vicinanze, direttamente, mentre gli altri avrebbero sostato a Lordsport. Avrebbe così intercettato la delegazione e parlato urgentemente con lord Caron. Fu così che, sbarcato con la sola nave lunga su cui viaggiava, a poca distanza di Pyke, mosse con una scorta di soli tre cavalieri in direzione della strada che univa la sede dei Greyjoy a quella dei Botley. E infine vide la lenta colonna che muoveva i propri solenni passi verso la rocca sulla scogliera.
Al galoppo, facendo in modo che i simboli della sua casata si vedessero bene, la raggiunse e puntò dritto verso gli stendardi dei Caron, per accorgersi solo quando era praticamente arrivato e ormai visto, che accanto a lui marciavano anche il Re in persona e la sua scorta.
Tirò le redini e si accostò, incolonnandosi anche lui.
"Nostra Maestà.." e chinò il capo. "Perdonate il ritardo, ma i continui spostamenti non hanno giovato affatto alla mia salute.. in realtà spero di essere arrivato dopo la notizia che porto..."
Volse lo sguardo fugacemente verso lord Caron, era uno sguardo preoccupato ma anche rabbioso.
"Avete notizie di Blackmont, maestà?"
Il re si rivolse al cavaliere che era venuto da lui tenendo fede al proprio giuramento di fedeltà "Siete il benvenuto Lord Swann. Ho notizie precise, quelle pervenutemi da Approdo del Re per tramite di mio figlio Rhaegar. Pare che le tensioni fra Casa Baratheon e Casa Tyrell, senza entrare nel merito di un'attribuzione di colpe che si tradurrebbe in un interminabile scarica barile, siano giunte al punto di non ritorno. Abbiamo proprio recentemente esortato Lord Caron a valutare un rientro nei propri feudi per sostenere il suo Signore Robert Baratheon nei giorni che verranno."
Lord Swann aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua espressione rimase congelata per alcuni istanti. 
Perplesso, volse lo sguardo verso lord Caron per poi abbassarlo e infine timidamente rivolgerlo di nuovo verso il Re.
 "Maestà.. sarò sicuramente in errore in quanto ancora un po' stordito dalla malattia che mi ha debilitato, ma dalle Vostre parole, sembrerebbe quasi che l'aggressione che le Marche stanno subendo da parte dei vassalli dei Tyrell, sia un problema esclusivamente nostro. Perdonate se le mie parole possano apparire spudorate, ma questo umile suddito ha solo bisogno di capire la reale situazione"
Il sovrano fisso l’uomo come un padre fissa il proprio figlio, con uno sguardo pronto a spiegare come vanno le cose nel mondo degli adulti.
“Lord Swann, non c'è alcun motivo di imbarazzo nella vostra domanda, che è del tutto lecita. Come Lord sarete certamente stato edotto sin dall'infanzia sulla storia dei Sette Regni, parte fondamentale della cultura di ogni buon rampollo di casate nobiliari. Saprete dunque che qui non siamo di fronte a una scaramuccia da taverna. La Corona ha due scelte in questi casi davanti a sé: restare neutrale per non incentivare una scelta di campo fra lealisti e ribelli, oppure scegliere un campo. Tutto il resto è utopia o interessata millanteria. Naturalmente voi vorreste che noi scegliessimo il vostro campo, altrettanto vorrebbe Lord Tyrell. Lo capiamo."
Continuando a procedere al passo, lord Gulian rimase con lo sguardo basso mentre il Re parlava, ma quando il discorso si interruppe e solo il passo degli zoccoli sul terreno pietroso rimbombava alle sue orecchie, alzò lo sguardo.
Attese.
Vide il Re guardare lontano, verso Pyke.

Il lord di Stonehelm volse lo sguardo verso lord Caron, incontrando un'espressione di perplessità e quasi di rassegnazione.
"Maestà..?" No.. quel discorso sembrava concluso e chiuso su sé stesso, ma non aveva alcun senso.
"Perdonate Altezza, ma non capisco.. la Corona dunque non interverrà a difendere i lealisti e quelli che perpetrano la pace del Re, per evitare di prendere le parti di una o dell'altra fazione;quando dall'altra parte c'è chi va in giro per i Sette Regni a farsi giustizia da solo con la forza delle proprie armi e armate?"
Si rendeva conto, o meglio, se ne rese conto solo dopo aver sbottato in quella maniera che probabilmente aveva forse esagerato, ma le terre della tempesta venivano fuori da un periodo di scarsi raccolti e da un leggero mormorio nel popolo contro i governi e le signorie. Un'eventuale aggressione dell'Altopiano, Swann non l'avrebbe gradita affatto, ma quel che lo preoccupava di più era l'aver frainteso il comportamento del Re: non un rinsavimento dopo la discesa negli abissi, ma una lucida e ben mascherata spietatezza.
Forse che quel viaggio di piacere potesse presto divenire una trappola mortale? Si chiese il cavaliere riflettendo sulla situazione.
Cercò di recuperare all'ultimo. "Tuttavia, non sta a noi prendere le giuste decisioni che solo chi ha la responsabilità di governare tutti i Sette Regni sa prendere al meglio. Perdonateci" Non poté però evitare di lanciare un altro sguardo disperato e rassegnato verso lord Caron.
Lord Caron gli fece cenno di rallentare il passo, e quando tra i due cavalieri e la colonna reale si creò una certa distanza rispose alle perplessità dell’ amico
"Gulian, amico mio, il Re ha già deciso da che parte stare, ho idea. Stai tranquillo, non possiamo far nulla per fargli cambiare idea" dopo quelle parole Lord Caron si stirò come se si fosse tolto un macigno dalle spalle.
Il cavaliere accennò a un sorriso amaro.
Amarissimo.
E poi parlò a bassa voce, assicurandosi che nessun altro sentisse.
"Siamo in un posto dimenticato dai Sette, anzi, forse nemmeno lo hanno mai desiderato o pensato.. Pietre, fango, questo tanfo di merluzzo marcio che non si stacca più dalle mie narici.. E ora? Ora calpestiamo questa merda che galleggia nel mare, in compagnia di un plotone di guardie di un Re che ci ha appena dichiarato guerra. Spera che sia davvero rinsavito come si dice, o.. faremo la fine dei Darklyn.."
"Mia nonna diceva che se un problema non ha soluzione non è un vero e proprio problema!"

Era da quando Lord Caron li aveva seguiti a Cuore Alto che ser Arthur non si fidava di lui.
Sapeva che non doveva mettere in guardia il Re, che sapeva meglio di lui come condurre le danze in questi pericolosi frangenti.
Mentre Aerys si voltava a parlare con un'altra persona, ser Arthur Aveva notato che Caron e Swann erano rimasti indietro per parlottare tra di loro.
Finora non avevano dato problemi durante il viaggio, ma il loro atteggiamento avrebbe potuto virare rapidamente verso uno più ostile.
Arthur sapeva che sarebbe stato in grado di tenergli testa qualora avessero provato una qualche mossa avventata come tentare di rapire il Re in persona. Ma restava il fatto che si trovavano decisamente lontani da Approdo e senza un vero esercito a supporto. E in quel preciso momento si trovavano pure in mezzo al mare. Non è un compito facile tenere al sicuro il Re in queste condizioni. Ma se fosse facile, regalerebbero a chiunque il mantello bianco. Arthur inoltre fu sorpreso dal fatto che nessuno dei Greyjoy si fosse ancora fatto avanti per accogliere come dovuto il Re.
Lord Caron spronò il cavallo e raggiunse gli altri e rivolto ad Aerys "Maestà, mangiamo qualcosa insieme o partite subito?"
"Spiacente Lord Caron, ma il nostro viaggio terminerà qui. Le nostre strade si dividono su questa isola, e da oggi siete padroni del vostro destino e liberi di andare dove meglio vi aggrada e con i mezzi che meglio riterrete opportuni. Per garantire la vostra sicurezza e per salvaguardare la nostra ho richiesto a Lord Tully di negarvi il passaggio che vi diede per arrivare qui, non avrete certamente difficoltà a ottenerne uno quando saremo partiti da Lord Balon o da Lord Tully stesso, o da Lord Lannister, dato che anche Castel Granito ha una sua flotta in queste acque. L'alleanza siglata con Casa Tyrell merita una risposta della Corona, e le nostre truppe hanno intenzione di pacificare l'area al confine con le Terre Targaryen prima che la guerra e i tumulti raggiungano quelle zone e la Capitale stessa. Che i Sette Dei vi siano propizi."
Così dicendo, il Re voltò il suo destriero e colpì forte di speroni, lanciandosi al galoppo verso il porto. Ser Arthur Dayne scrutò per un attimo i due cavalieri della Tempesta, accertandosi che non facessero nulla di avventato. Poi, dopo uno scambio di sguardi fra i tre, voltò anch'egli la sua cavalcatura e spronò il cavallo per raggiungere il suo Re.

Da un’altura poco distante Balon Greyjoy vide la colonna con la delegazione reale procedere lentamente verso il castello di Pyke.
Dopo un colloquio teso con Lord Caron e Lord Swann, Re Aerys di colpo volta il cavallo e iniziò a galoppare verso Lordsport.
“Ma che cazzo si crede di essere quello...” fu il pensiero che attraversò la mente di Balon che subito diede
ordine di formare uno squadrone di cavalleria per andare a "riprendere" il Re, ma mentre gli uomini di Ferro si preparano all'inseguimento arrivò Aeron correndo, sudato ed accaldato, che gridando a squarciagola
"Cazzo Balon, fermati!" si ricompose un’istante sotto lo sguardo spazientito del fratello e poi riprese a parlare "Credo che il Re debba lasciare l'isola di corsa, è arrivata una lettera dal vecchio ed è successo un putiferio ad Approdo, Lord Mace ha accusato Lord Caron, Martell e non so chi altro di tradimento. Hanno fatto scorre del sangue giù ad Approdo e il Tyrell non ha perso tempo e ha iniziato ad allargare i propri domini." trasse un'altra profonda boccata d'aria "Credo che il Re stia tornando di corsa ad Approdo per sbrogliare sta matassa di rovi." Poi si fece scudo con una mano dai raggi del sole, per osservare meglio. "a quanto vedo però non tutta la delegazione se ne sta andando, se gli occhi non mi ingannano quelli sono i fringuelli di canto notturno" disse indicando la coppia di cavaliere lasciata indietro "Fratello credo che sia meglio mandare da loro la cavalleria e far spolverare le stanze degli ospiti..quelle con le sbarre alla porta" il sorriso era quello di un uomo di ferro, quello di un Greyjoy.
Lo stesso sorriso da predone si fa largo sul volto di Balon. "Andiamo cazzo...Uomini di ferro, andiamo a prendere i Baratheon del cazzo". Sprono il suo cavallo verso Lord Swann e Lord Caron, guardando con la coda dell'occhio il fratello Aeron e gli altri Greyjoy che lo stavano seguendo. “Finalmente sta pace del cazzo del Re è finita...” pensò esaltato dalle future battaglie.

Lord Swann accolse le parole del Re con il silenzio e un semplice gesto del capo, in segno di riverenza. Osservarono la colonna dividersi improvvisamente, e stava per dire a Lord Caron che, in effetti, il Re era proprio come lo immaginava lui ossia letteralmente pazzo e sconclusionato, quando per evitare di dare voce ai propri pensieri volse lo sguardo altrove e vide uomini Greyjoy dirigersi verso di loro.
C'era qualcosa nel loro procedere che mise in allerta il Signore di Stonehelm "Bene, lord Fringuello... eccoti accontentato.. sta arrivando il comitato di benvenuto" si rivolse a Caron.
"Meglio fringuello che cigno, Gulian, almeno io mi sono risparmiato la parte del brutto anatroccolo. Trovi anche tu che sia molto divertente che il re si sia messo contro gli unici due stronzi che gli hanno appoggiato questo viaggio folle? E tutto per compiacere un Lord Protettore che muove le sue truppe per fare giustizia da solo per crimini di cui non ha prove? Spero che quando gli storici parleranno di questo non lesineranno nei dettagli." Bryen Caron si grattò la punta del naso "Comunque credo sia ora di morire bene. Ho già sentito troppo berciare oggi per pensare di poter vivere un giorno di più. Di scappare non se ne parla. Dei, che vomito."
Aeron vide il Lord in livrea gialla, estrarre la spada.
“Veramente?” fu il suo primo e incredulo pensiero, poi si voltò verso il fratello che cavalcava al suo fianco e vide il suo volto. Le parole di suo padre nel loro ultimo incontro ad Harrenal gli risuonarono in testa " Devi stare accanto a tuo fratello...io conto su di te".
"Vivi! prendiamoli vivi" urlò nel vento per sovrastare il rumore degli zoccoli lanciati alla carica "Balon mi raccomando non li ammazzare!"
"Fanculo" gridò Balon al fratello, sputando per terra. Però mentre si avvicinò ai Baratheon iniziò a pensare.
“Cazzo dopotutto sono due Lord, magari tiriamo su qualcosa con il riscatto. E poi...immagino che Lord Botley abbia dato loro del cibo...pane e sale...se ammazziamo questi due stronzi rischiamo di inimicarci tutti gli stramaledetti Sette Regni. Invece è meglio appoggiarci ad una delle parti di questa fottuta guerra, e razziare e predare l'altra...”
Sputò di nuovo per terra, i due lord e la loro scorta erano sempre più vicini. Ordinò allo squadrone di rallentare e poi di fermarsi. Accennò un saluto irriverente con la propria arma e quindi si rivolse con fare canzonatorio ai due lord della Tempesta.
"Signori, benvenuti a Pyke".
E, con una risata gracchiante, sputò per terra.
"Talmente benvenuti che il Re sul Trono di Spade si è allontanato di corsa proprio mentre stavate arrivando" Lord Caron imbracciò lo scudo "vuoi almeno affrontarmi da uomo, Balon Greyjoy, o credi sia più divertente ammazzare questi cinque cavalieri che, tra l'altro, sono solo cavalieri di ventura senza alcuna colpa assoldati del Tridente e poi di condurci.. dove?"
"Caron, ti lascio la scelta: puoi venire a Pyke sul tuo cavallo, o a piedi, dietro il mio". Balon fece un cenno agli Uomini di Ferro, che circondarono i due Lord della Tempesta e la loro esigua scorta.
E poi sputò per terra.
"Ti sfido, Greyjoy. Davanti ai tuoi uomini di ferro. Vediamo se sei abbastanza uomo per combattermi col ferro in pugno, piuttosto che fare la voce grossa con tutta la guarnigione di Pyke che ti accompagna."
Lord Swann aveva avuto, per un breve attimo, la tentazione di estrarre la spada e spronare il cavallo alla carica. Poi si guardò intorno: rocce, mare e la stessa puzza di merluzzo marcio di sempre.
Nessuna imbarcazione pronta. Cosa avrebbero dovuto fare? Combattere contro tutta l'isola di Pyke? Morire coperti di gloria?
Che gloria c'è nel venire abbattuti come maiali al mattatoio, con il rischio di vedere le proprie ossa buttate in mezzo al mare?
E ripensò ai suoi due figli, uno nato da poco...a sua moglie.
"Bryen..", osservò tutta la scena in silenzio, mentre venivano accerchiati dagli Uomini di Ferro.
"Bryen.. lascia stare" Niente, non ascoltava.
Evitò di incrociare il minimo sguardo con chiunque avesse intorno. Era ovvio che se li avessero attaccati, non si sarebbe fatto macellare senza difendersi, ma non era nello stile della nuova maschera di quel pazzo di Aerys.
Balon Greyjoy si avvicinò sempre di più, con fare minaccioso, a Lord Caron.
"E così vuoi il mio ferro eh!?"
Fintò un colpo verso il Lord di Nightsong, per poi cambiare mira all'improvviso e colpire il destriero di Lord Caron.
Nel frattempo gli altri uomini di Ferro invitarono i cavalieri di ventura assoldati dai Baratheon a deporre le armi.
Il cavallo, colpito volontariamente da Balon, si imbizzarrì per il dolore. Dopo diversi secondi di tensione e varie sgroppate, Lord Caron riescì a riprendere il controllo sulla bestia.
Il cavallo si era però allontanato di diversi passi dal suo antagonista. Lord Caron quindi smontò "a cavallo ti farei a pezzi. A piedi hai molte più possibilità. Scendi, se non vuoi che si dica che l'erede di lord Greyjoy è un vigliacco"
Uno degli uomini dei Greyjoy colpì Lord Caron sull'elmo di piatto con la spada. Altri due intanto spronano le proprie cavalcature a colpire il Lord di Nightsong con gli zoccoli.
"Vigliacco e privo di controllo sui tuoi uomini" Bryen Caron assorbi il colpo all'elmo alzando la spada, ma non può certamente nulla contro i cavalli che gli furono aizzati contro. Prima di crollare a terra ebbe solo il tempo di constatare che la su gamba destra si fosse spezzata in più punti e che non sarebbe arrivato probabilmente terzo alla prossima Giostra. Quando lord Caron era ormai a terra, Gulian scese da cavallo e si diresse verso il signore di Nightsong, tenendo la mano destra alta come a voler fermare quello scempio. "E' questo a cui ormai i Sette Regni si sono ridotti, amico mio" e fece per tirarlo su, voltandosi verso Balon. "Abbiamo sul trono un pifferaio suonatore di pifferi altrui che quando suona, tutte le vipere ammaestrate si sollevano e danzano. Un tempo era la Danza dei Draghi, ora... ora sono rimasti solo lord laidi e ricchi, e i loro cani da guardia.."
"Gulian, non tirarmi, per favore. La gamba è rotta.." Lord Bryen sembra riscuotersi, più per il dolore che per altro. Annaspava, spingendosi con la gamba buona e piantando la spada a terra, cercando di rialzarsi ma era palese che non ne sia in grado. Sbuffava, dapprima sedendosi nuovamente, poi scivolando di nuovo a terra.
"Non maltrattare il Re, Gulian..è solo spaventato. Cosa poteva fare?"
Clap clap clap.
Aeron applaudiva dal suo cavallo.
"Grande impresa fratello, tanto di cappello alle tuo doti di guerriero" proferì sarcastico.
Poi guardò la gamba di Caron e scosse la testa, la indicò al fratello e aggiunse "Ai dovuto colpire un cavallo e farti aiutare dai tuoi scagnozzi per mettere fuori gioco un damerino che nostro padre ha preso a calci al torneo." Si fermò un istante per osservare l'espressione del fratello e ebbe la certezza di aver colto sul vivo.
"Questi due probabilmente avevano già mangiato e bevuto, erano protetti dalle leggi dell'ospite, tu non li hai ammazzati te ne d'ho atto, però poco ci manca." poi lanciò l'ennesima frecciata "hai infranto la legge del vino e del sale" fece silenzio in attesa che il fratello sbottasse. “ L'unica legge del sale che conosco è quella del sale e della roccia, l'antica via e quella si paga con l'acciaio” ecco cosa si aspettava dal fratello come risposta.
"Fanculo tu e le tue fottute leggi da damerini della terraferma..." Balon fulminò il fratello e poi sputò per terra. Poi guardò con disprezzo i due lord della Tempesta e ridacchiando aggiunge: "Mi spiace che i cavalli di questi due si siano imbizzariti Lord Caron... certo che anche tu... minacciarmi a quel modo...sulla mia isola...".
Fece un cenno ai suoi uomini: "Preparate una barella" ordinò indicando gli stendardi dei Baratheon.
"Lord Caron, Lord Swann... Vi prego di seguirmi a Pyke...spero che dimenticherete questo incidente con una buona cena ed una buona dormita".
Zuppa di pesce con gli avanzi delle cucine e le stanze del Maniero Insanguinato dove sono morti quei due mostriciattoli del Re dei Fiumi...
E ridacchiando sputò per terra, voltò il cavallo ed ordinò alla colonna di rimettersi in marcia. Alcuni uomini di Ferro caricarono Lord Caron sulla barella improvvisata, altri presero le redini delle cavalcature dei barellieri e degli...ospiti...che, anche a suon di spintoni vennero invitati a seguire la colonna verso il castello di Pyke.
[Modificato da Mance 19/09/2017 06:59]


Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

Ed ora sono.... Il Buon Padre





Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
19/09/2017 07:01
 
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SECONDA BATTAGLIA DI ALTOGIARDINO
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Nelle ultime settimane la situazione della guerra a Sud era mutata drasticamente.
Mentre erano ancora a Lannisport, il Re era stato raggiunto da una lettera segreta che lo aggiornava su alcuni decisivi sviluppi sulle battaglia avvenuta a Nightsong.
Dopo aver letto il rapporto, Aerys diede subito ordine di cambiare i programmi di viaggio -per i quali sarebbero dovuti andare a Castel Granito- per dirigersi a sud.
Aerys si stava esponendo a un grande pericolo ma aveva deciso di andare dove c'era più bisogno di far sentire la presenza del Re.
Già dal loro arrivo ad Alto Giardino via nave, lungo il fiume, si resero conto degli evidenti segni della battaglia precedente.
La fiducia verso i Lannister era venuta meno e Lord Mace aveva dato ordine di attaccare il contingente dei leoni in arrivo ad Alto Giardino. Al costo di importanti perdite, i Tyrell avevano inferto ai Lannister un durissimo colpo.
Gli esploratori Tyrell però avevano già preavvisato che il peggio doveva ancora venire.
L'esercito Tyrell si era mosso velocemente. Dopo aver conquistato Nightsong e aver retto, grazie all'aiuto degli uomini Lannister, a un primo tentativo di riconquista da parte del nemico, si era ritirato nell'Altopiano, lasciando solo l'esercito del leone a difesa della città.
Esercito che nulla avrebbe potuto di fronte alla potenza combinata dei dorniani e dei Baratheon, se non rallentarne e indebolirne l'avanzata verso Alto Giardino.
Esercito che ora non aveva più nulla a fermarlo e che sarebbe giunto presto alle porte della città.
Lord Randyll Tarly non era un uomo che si perdeva in inutili gentilezze e salamelecchi, soprattutto in tempo di guerra, per cui accolse il Re e il suo sparuto seguito con una cortesia marziale. Anche Aerys era consapevole della situazione per cui non si aspettava niente di più.
Erano arrivati appena in tempo. L'esercito nemico sarebbe giunto a distanza di pochissimo tempo per cui i preparativi erano già in stato avanzato.
Ser Arthur non aveva l'arroganza di pensare di poter cambiare l'esito dello scontro con la sua presenza, ma voleva comunque fare la sua parte. Aerys sarebbe stato ovviamente nelle retrovie e al sicuro, ben protetto da fidati cavalieri Tyrell e dai cavalleggeri Targaryen. Dayne aveva chiesto e ottenuto di poter partecipare alla battaglia tra le prime linee.
Fece sellare e preparare il suo destriero da guerra. Aveva il pelo nero come la notte, che faceva un contrasto notevole con la bardatura bianca della Guardia Reale. Dayne aveva sempre apprezzato quel contrasto cromatico. Probabilmente non sarebbe arrivato ad usare la cavalcatura, ma doveva farsi trovare pronto nel caso fosse necessaria.
Indossò la sua armatura smaltata di bianco e fissò il suo mantello con le spille che gli aveva donato il lord comandante Quentin. Sistemò Alba nel fodero lungo la schiena, mentre lasciò appese alla sella un mazza ferrata e una lancia lunga.
Quando salì sulle mura per vedere l'esercito nemico schierato, fece immediatamente le sue valutazioni.
Le forze combinate Martell-Baratheon sembravano avere la supremazia numerica.
Dayne sapeva che i numeri da soli non facevano vincere le battaglie, ma di certo erano di aiuto.
Chiuse gli occhi e innalzò una preghiera silenziosa al Guerriero.
Era pronto per la battaglia.
L'inizio della battaglia non si fece attendere. Forti della loro superiorità numerica, l'esercito Martell-Baratheon si schierò attorno alle mura e iniziò presto il primo assalto.
Dayne abbassò la celata del suo elmo riducendo tutto il suo mondo a quella piccola fessura per gli occhi.
Prima arrivarono i dardi di balestra. Una pioggia nera e incessante, alla quale Alto Giardino rispose con le balestre e le catapulte poste sulle mura. La battaglia iniziò a riscuotere il suo debito di sangue. Ci furono i primi morti in entrambi gli schieramenti.
Un armigero Tyrell proprio di fianco a Dayne si sporse dalle mura per osservare la strada che portava alle porte principali.
"Stanno avanzando verso le-" stava dicendo. Cadde dalle mura con un dardo di balestra conficcato in un occhio.
Dayne restava ben riparato dietro le merlature ma anche a lui non sfuggì l'avanzata delle forze nemiche.
Quando si attaccava una città nemica, la maggior parte delle volte era più saggio condurre un assedio. Lasciando che fosse il tempo a combattere e fiaccare i propri nemici dentro le mura. Ma Dayne sapeva che non era questo il caso.
I Martell e i Baratheon avevano l'estrema necessità di conquistare una vittoria che fosse quanto più rapida possibile. Nelle loro terre, dietro di loro, truppe nemiche stavano avanzando conquistandosi tutto. E se avessero provato a cingere la città, sarebbero arrivati degli aiuti a rompere l'assedio ben prima che la città cedesse per fame.
Da qui la necessità di dare fin da subito l'assalto alle mura, anche a costo di grosse perdite che ci sarebbero sicuramente state da entrambe le parti.
Molti soldati nemici erano giunti sotto le mura. La pioggia di quadrelli si era interrotta in modo da permettere loro di innalzare le scale.
Dayne sguainò Alba. Dopo qualche minuto comparve il primo uomo tra due merli. Ricadde indietro senza neppure riuscire a mettere i piedi sul camminamento.
La lama bianca della sua spada bevve il suo primo sangue della giornata. Una giornata che sarebbe stata molto lunga.
Una delle cose più complesse della formazione di un cavaliere che fosse chiamato a ruoli di comando era acquisire la capacità di restare concentrato sul singolo duello in cui era immerso, mentre cercava di mantenere l'attenzione sull'andamento generale della battaglia.
In questa situazione Dayne era facilitato dalla sua posizione sopraelevata rispetto al campo di battaglia.
Dall'alto delle mura era riuscito a percepire che la foga del primo assalto stava calando. I pochi nemici che arrivavano in cima alle mura venivano immediatamente respinti.
Ai cancelli principali, però, la situazione sembrava volgere al peggio. Con un ariete coperto, gli assalitori erano ormai giunti alle porte e senza prendere adeguate contromisure, l'esercito nemico sarebbe riuscito a dilagare in città.
Arthur Dayne arretrò dalla prima linea e cercò con lo sguardo la postazione di Randyll Tarly.
Quasi in risposta al suo sguardo, Tarly fece alzare la bandiera per comunicare il segnale.
Dayne lasciò la difesa delle mura agli altri armigeri Tyrell e iniziò la discesa verso i cavalli.
Mentre scendeva le scale ripulì la lama di Alba e la ripose nel fodero dietro la schiena.
Quando arrivò ai cavalli, ad aspettarlo di fianco al suo destriero da guerra c'era un cavalleggero che impugnava uno stendardo con lo stemma dei Targaryen. Montò in sella insieme agli altri cavalieri Tyrell. Della rosa dorata in campo verde c'erano due stendardi.
Dayne impugnò la lancia lunga e si avviò al trotto verso l'uscita nascosta che li avrebbe portati direttamente sul campo di battaglia all'esterno delle mura.
Una volta usciti tutti, Dayne fece mettere gli uomini in posizione e sempre al trotto si avviò lungo le mura per condurre la sortita contro gli assalitori alla porta principale. Le mura di Alto Giardino si innalzavano alla sua destra. Alla sua sinistra si allargava la vastità dei campi coltivati e pieni di fiori dell'Altopiano.
Seguendo la curvatura delle mura, Dayne iniziò a scorgere il fianco destro delle armate Martell e Baratheon. Fece dare il segnale e accompagnato da squilli di tromba la sua compagnia accelerò al galoppo.
"Per Alto Giardino!" gridò qualcuno.
"Per il Re!" gridò Dayne. "Targaryen!" aggiunse qualcun altro.
I soldati nemici che stavano cercando di sfondare la porta cercarono di organizzare le difese contro la carica.
Formarono una linea di scudi, ma dall'alto delle mura frecce e quadrelli crearono dei varchi tra gli uomini.
A qualche metro dalla linea di scontro Dayne scagliò la lancia contro un soldato dalla livrea gialla e nera. La velocità del galoppo aveva impresso notevole forza alla lancia che trafisse la gola dell'uomo da parte a parte. Dayne afferrò giusto in tempo la mazza ferrata dalla sella per colpire alla testa un altro soldato nel momento dell'impatto con la linea nemica.
Gli assedianti erano stati presi di sorpresa e la compagnia di cavalleria attraversò le linee nemiche come un coltello nel burro.
"Dietro front!" urlò Dayne. Fece voltare il cavallo e si preparò alla seconda carica.
Dopo il secondo passaggio, la maggior parte degli uomini aveva lasciato l'ariete ed era arretrato. Da un punto del campo di battaglia, Dayne sentì squilli di tromba. I reparti di cavalleria del nemico si stavano avvicinando al galoppo.
Ser Arthur fece riorganizzare gli uomini a cuneo e fece suonare la carica a sua volta.
Con la mazza ferrata protesa in avanti, il pennacchio di seta bianca del suo elmo che svolazzava nel vento, Dayne galoppò contro il nemico.
Molti anni erano passati dall'ultima volta che Aerys aveva impugnato in battaglia Altofuoco, la sua spada valyriana.
Il suo polso non aveva più né la scioltezza né la velocità di un tempo, i suoi muscoli non erano quelli della gioventù, né il suo coraggio era quello spregiudicato di un adolescente in cerca di gloria.
Eppure Aerys sentì di non potersi in alcun modo sottrarre a quella che considerava una chiamata del destino.
Attorno alle mura di Alto Giardino Casa Tyrell e il Trono Targaryen non si giocavano soltanto la vittoria, ma la loro stessa sopravvivenza.
Se avessero perso quella battaglia, il castello di alleanze che avevano costruito attorno a sé sarebbe caduto come fosse fatto di carte, anziché di pietra.
Tutto ciò per cui si era industriato negli ultimi mesi conduceva a quel momento. Casa Tyrell si era dimostrato lo strumento perfetto con cui egli aveva plasmato la propria volontà di potenza. Il martello con il quale picchiare il Westeros fintanto che dal nudo acciaio della sua terra non fosse stata forgiata la spada del dominio Targaryen.
Dalla morte degli ultimi Draghi mai la sua casata era stata così potente come ora.
La battaglia di Alto Giardino avrebbe decretato se la scommessa di Aerys si sarebbe rivelata vincente, ed egli non voleva lasciare che il fato decidesse da solo.
Aveva vestito l'armatura del Drago, e gli sembrò un secolo dall'ultima volta che lo aveva fatto.
Un po' più stretta, un po' più pesante, ma ancora capace di ricoprirlo di voglia. Voglia di vivere, voglia di vincere, voglia di affermare che egli era Aerys II Targaryen, figlio di Jaehaerys, Sangue del Drago, Fuoco sulla Terra, ultimo erede di Valyria.
Dagli spalti del bastione principale Aerys vide Ser Arthur Dayne organizzare lo sparuto manipolo di cavalieri Targaryen al loro seguito, al fine di contribuire nei limiti del possibile a dare battaglia all'immane esercito che si era presentato dinnanzi a loro.
Sotto di lui la battaglia infuriava, il cielo era oscurato dalle frecce che sibilavano senza sosta da una parte e dall'altra, grande era la strage di uomini Tyrell, un sacrificio che, se avessero vinto, Aerys avrebbe equamente ripagato.
Randyll Tarly guidava la difesa, un uomo brillante, uno stratega di valore incontestabile. Non proprio un uomo carismatico, forse.
Aerys voleva gettarsi nella mischia, ma sapeva che ancor prima delle armi era il morale a vincere le battaglie.
Si rivolse ai soldati che combattevano sulle mura, a quelli nella piazza d'arme, che predisponevano catapulte e altre macchine da lancio. A tutti coloro che osservavano i loro compagni morire sulle mura, e che poco a poco perdevano speranza nella riuscita dell'impresa di sopravvivere.
"Uomini! Compagni! Soldati! Io sono Aerys II, della Casa Targaryen, Re sul Trono di Spade e amico leale delle genti dell'Altopiano. Ma oggi non sono che un uomo spaventato, come tutti voi. L'esercito che ci assedia oltre quelle mura è un esercito smisurato, che ha un unico obiettivo: distruggere se stesso insieme a noi. La loro vittoria sarà nella nostra morte, e solo in essa. Combattete oggi dunque non solo per la gloria dell'Altopiano, non solo per difendere le donne, i bambini, gli innocenti che popolano e animano questa nostra bella città, non combattete per il vostro Re, né per un Trono così lontano da voi.
Uomini!
Oggi voi combattete contro il terrore, combattete contro l'irrazionalità, contro un nemico brutale che sarebbe disposto a uccidersi pur di portarvi con lui, combattete perché domani sorga ancora il sole contro l'oscurità della follia.
Compagni!
Oltre quelle mura un mostro divora i cuori e la mente di generali e lord, animati da una cieca e furiosa volontà di distruzione. Oltre quelle mura l'obbedienza senza pensiero si è fatta dispotismo, e se quelle mura saranno oltrepassate non ci sarà un domani per noi. Per nessuno di noi.
Proprio ora, davanti ai nostri occhi, un manipolo di Cavalieri Targaryen si erge minuscolo, eroico, davanti a un'orda invincibile. Quale sarà la nostra risposta?"
Aerys sguainò Alto Fuoco, puntandola verso il cielo.
"Questa è la mia! Un Cavallo, per i Sette Dei! Con me, amici miei! Compagni, l'ora delle scelte irresolubili è giunta! Alla carica!"
Balzò sul camminamento e scese fino ai piedi della piazza d'armi. Montò sul suo destriero bianco, che travolto da quell'impeto si impennò sulle due zampe posteriori.
"MOOOOOORTEEEEEEEEEEEEE!!!"
Urlò lanciandosi fuori dal ponte levatoio, seguito da decine di cavalieri della Rosa di Alto Giardino.
"UAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!"
"MORTE AI TRADITORIIIIIIII!"
"SEGUITE IL REEEEEE!"
Nel frattempo, lungo il Mander, la recluta aveva bisbigliato "Cazzo quanti" e subito dopo "ma non dice niente?" e aveva guardato nella direzione del capitano.
Si era beccata un manrovescio da uno dei veterani.
"Finocchietto, il Triste non parla quasi mai e se ti aspetti un discorso da eroico damerino delle ballate... te ne tiro un altro."
Il gigantesco Andrik aveva poi fulminato tutto il proprio equipaggio con un'occhiata minacciosa e aveva semplicemente detto "Sbarchiamo".
Si trovavano sul Mander, ad Alto Giardino e stavano osservando l'avanzata dell'esercito assediante.
Erano venti Uomini di Ferro su una nave lunga, il solo vascello presente nei pressi dello scontro.
Sapevano cosa fare.
Dalle Isole avevano oltrepassato gli Scudi ed avevano risalito il Mander fino alla capitale dell'Altopiano.
Ed ora erano tutti pronti a seguire il loro capitano, uno degli uomini più grossi, forti e temibili generati dalla roccia.
Andrik il Triste abbassò il proprio elmo, l'altro braccio - enorme - stringeva una gigantesca ascia da guerra.
La nave lunga toccò la riva.
Il temibile guerriero con un salto fu a terra e si lanciò contro il manipolo dei nemici giunti a dare loro "il benvenuto".
Lo fece in spettrale silenzio.
Il suo equipaggio lo seguì.
Urlando "Vecchia Wyyyyyyk!!!"
"Vecchia Wyyyyyyk!!!" Urlò Fardek insieme ai compagni mentre compatti scendevano a riva.
Erano solamente un ventina, ma una ventina di squali valevano ben più di cento pesci da fondale basso.
Il nemico li aspettava e appena scesero a terra subito un nugolo di dardi li investì.
“Muro di scudi” l’urlo del primo ufficiale sì udì rabbioso nella battaglia, gli uomini di ferro si erano già mossi e la prima fila di dieci uomini si era schierata, altri sette coprivano le loro teste. Fardek e altri due si erano rannicchiati al cento della cerchio difensivo.
“Io le odio queste fottute balestre...” bofonchiò Fardek tra sé, i suoi compagni gli misero la mano sui fianchi uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, l’altra mano la posero entrambi sotto il cavallo. “Ragazzi fate piano, non è ancora arrivato il momento di giocare con le picche.” mentre esprimeva il suo sarcastico cameratismo ai compagni anche nel furore della battaglia contava mentalmente le salve nemiche, non dovevano esserci più di quattro uomini armati di balestra tra quelli che li stavano assediando. Così continuò a contare fino a quando trovò un periodo morto di una ventina di secondi tra una raffica e l’altra.
“Ora” la voce dell’uomo era udibile solo dai suoi compagni, che erano in attesa di quel segnale, il muro superiore si aprì con un movimento provato in mille battaglie, gli uomini che lo tenevano per le gambe lo spinsero verso il cielo sollevandolo ben al di sopra delle teste dei compagni. Era completamente allo scoperto ora, facile bersaglio per i nemici , ma lui sapeva di avere tutto il tempo necessario, con lo sguardo del predatore individuò la sua vittima. Era un ragazzo con una livrea color del grano indossava un elmo a cupola con nasale fisso, i capelli castani si intravedevano ai lati. Stava ricaricando la balestra quando per un istante incrociò gli occhi con quelli di Fardek, e in quel momento fu cosciente della sua morte.
“Giù” Fardek venne fatto scendere e il muro di scudi venne ricompattato. L’ascia dell’uomo di ferro roteò verso il ragazzo e lo colpì in pieno petto riuscendo a superare la cotta di maglia, la ferita iniziò a sanguinare copiosamente, ma la vita aveva abbandonato il balestriere nel momento dell’ impatto quando il freddo e pesante acciaio di Vecchia Wyk gli aveva fracassato lo sterno.
Le salve si fecero più rade.
Altre due volte Fardek fu sollevato e altre due balestrieri nemici caddero sotto il filo del sue asce prima che il comandante nemico ordinò la carica.
A quel punto Fardek lasciò cadere l’ascia da lancio ed estrasse accetta e spada corta.
“Prepararsi a reggere l’impatto” Il primo ufficiale diede l’ordine mente i primi picchieri avversari caricavano a testa bassa.
“Io le odio queste fottute picche...”
Sean un ragazzo della prima fila cadde con la gola trafitta da una picca.
Rimanevano solo diciannove uomini di ferro.
Un mulinare di asce spezzò molte aste e teste avversarie che furono costretti a ripiegare.
“Vecchia Wyyyyyyk!!!" fu l’urlo carico di gioia degli uomini mentre esultavano battendo le asce contro gli scudi.
“Seconda carica” il primo ufficiale diede l’ordine.
I picchieri avanzavano compatti, quando le aste si alzarono pronte ad impattare quando...
“Aprite!” il muro di scudi si aprì in due ali, gli uomini Baratheon non ormai sbilanciati per l’impatto corsero in malo modo in mezzo al vuoto che si era venuto a creare.
“Chiudere” il muro si compatto alle loro spalle mentre venivano macellati da Fardek e compagni che li attendevano come l’abbattitore attende i manzi al mattatoio.
Ancora un volta l’urlo “Vecchia Wyyyyyyk!!!" riempì il campo di battaglia.
Altri tre uomini di ferro rimasero sul campo, trafitti dalle lance avversarie.
Rimanevano solo sedici uomini di ferro.
“Avanti” questa volta la voce non era quella del primo ufficiale, ma era il Capitano Andrik a dare l’ordine con un sussurro di voce, un ordine che probabilmente era un invito a nozze con la morte.
Fardek guardò gli uomini che aveva davanti, a colpo d’occhio dovevano essere una cinquantina. Si voltò verso l’uomo che aveva di fianco “Non crepare prima di averne ammazzati un paio che altrimenti me ne rimangono troppi da buttar giù e non ho voglia di metterci tutto il giorno.”
L’altro gli sorrise e sputò per terra. Poi entrambi partirono alla carica.
Il nemico fu colto di sorpresa da una mossa tanto ardita da sembrare folle. All’ inizio gli uomini di ferro avevano avuto la meglio. Cinque uomini erano caduti sotto le lame di Fardek prima che la cavalleria Martell caricasse dal fianco sinistro e li costringesse a ritirarsi sulla nave.
Quattro uomini erano morti in quell’ultimo assalto.
Rimanevano solo dodici uomini di ferro dei venti che erano partiti.
Fardek era stato ferito ad una gamba da una picca nemica, e un suo compagno l’aveva dovuto sorreggere mentre tornavano verso la nave. Sicuramente non avrebbero fatto la differenza in quell’ immane battaglia dove centinaia di migliaia di uomini stavano combattendo. Ma come era solito dire “Uno di meno è sempre uno di meno.”
La battaglia continuò implacabilmente ad esigere il suo tributo di sangue.
Lo scontro era durissimo e numerosi i caduti da entrambe le parti.
Dayne aveva guidato la cavalleria Tyrell a scontrarsi con quella del cervo e del Dorne.
Dopo lo scontro iniziale, i due schieramenti si mischiarono tra loro. Si combatteva in ogni metro. Dayne si concentrava su un nemico poi, dopo averlo abbattuto, sul successivo e così via in un ciclo che parve non finire mai.
La sua mazza ferrata era uno spettacolo da far rivoltare le budella. Grumi di sangue rappreso e cervella ricoprivano la testa d'acciaio dell'arma. Ma concentrato nello scontro, Dayne nemmeno la vedeva. Menava colpi a destra e sinistra, parava gli affondi degli avversari e cercava di organizzare i suoi uomini sul campo.
La loro inferiorità numerica iniziava a farsi sentire quando dalla città sentì degli squilli di tromba.
Si voltò e vide il ponte levatoio abbassarsi. Uscì il secondo reparto di cavalleria dei Tyrell.
Alla testa della colonna di uomini, Arthur riconobbe Aerys nella sua armatura nera e rossa.
Il suo cuore saltò un battito.
Non appena uscirono gli uomini a cavallo, il ponte levatoio venne risollevato, rimettendo la città al sicuro.
Arthur non si aspettava di vedere il Re combattere in prima fila. O meglio, se l'aspettava ma sperava che Aerys non cedesse alla suo indole di drago e rimanesse al sicuro dietro le mura della città.
"Uniamoci al Re!" urlò agli uomini che lo circondavano.
Diede di speroni e fece girare il cavallo per andare a incontrare Aerys sul campo di battaglia.
Ora che era sceso in battaglia, il posto di Dayne era al suo fianco. Doveva garantirne l'incolumità e la salvezza, anche a costo della propria vita. E questo era un sacrificio che era pronto a fare.
Si aprirono la strada tra i nemici, a caro prezzo, fino a congiugersi con il secondo reparto di cavalleria.
Dayne riuscì ad arrivare proprio di fianco ad Aerys.
Non si rivolsero nemmeno la parola. Entrambi concentrati sulla battaglia. Dayne divenne l'ombra bianca del Re. Ora combattere divenne ancora più difficile per lui. Oltre a dover attaccare e difendere se stesso, doveva pensare a difendere e contrattaccare anche chi provava a colpire Aerys.
Questa seconda carica di cavalleria aveva risollevato l'umore degli uomini Tyrell che iniziarono a combattere con una furia che prima non avevano. L'inferiorità numerica passò in secondo piano e per un attimo Dayne si concesse il pensiero di poter comunque vincere lo scontro.
Proprio in quel momento si sentirono dei corni provenire dal retro delle linee nemiche.
Dopo i corni si sentirono i tamburi.
Forze fresche stavano giungendo a dare man forte agli assedianti.
Dayne alzò lo sguardo. A capo dell'esercito in marcia riconobbe subito un uomo che svettava su tutti gli altri.
Aveva un'armatura verde con lunghe corna di cervo dorate.
I corni suonarono di nuovo. Dayne non aveva mai sentito un suono peggiore.
Ormai l'immane battaglia di Alto Giardino, per gli Uomini di Ferro, si era ridotta al furioso combattimento sul ponte della loro nave lunga.
Uno della ciurma gridò disperatamente: "Capitano Andrik...ne arrivano altri" ed indicò con il terrore nello sguardo l'enorme colonna Baratheon che, a marce forzate ed al suono di corni da guerra, aveva ormai raggiunto il campo di battaglia.
Per ogni nemico che il gigantesco Andrik abbatteva, se ne facevano sotto altri due ed ormai le vele della nave iniziavano già a bruciare.
La nave lunga dei Tully stava subendo la stessa sorte...
Il Triste abbattè altri due assalitori e in un attimo di tregua ordinò ai tre uomini rimasti con lui: "Giù! Seguitemi" e si tuffò nel Mander per guadagnare a nuoto la riva opposta, al momento risparmiata dai combattimenti, e riorganizzarsi.
Ogni Uomo di Ferro, sulla propria nave, è un re.
Andrik il Triste aveva appena perso il proprio regno.
Ma non la propria voglia di combattere.
Fardek avanzò zoppicando verso il tendone dove erano stati stipati i feriti. C'era un grande via vai, persone entravano portando feriti a braccia o su barelle improvvisate, altri invece uscivano scaricando i cadaveri su un grande carro poco distante. Alcuni di questi cadaveri si muovevano ancora, ma lo avrebbero fatto solo per poco.
L'odore che usciva dalla tenda era nauseabondo, l'odore dolciastro di putrefazione e di sangue, l'odore rancido del vomito e del piscio, l'odore di morte che si mischiava con quello delle feci.
Il rumore non era da meno. Lamenti e grida , uomini che piangevano come bambini invocando la propria madre o la porpria amata. C'era chi invocava la morte e chi malediva i propri nemici e chi invece malediva i propri alleti.
"Ehi amico, non abbiamo tempo per dare retta a chi ha solo un graffio." gli rispose un uomo coperto di sangue, con in mano una piccola sega.
"Sono qui a vedere un amico." Rispose Fardek.
Spostandosi di lato per superare l'uomo, un moribondo gli afferrò la mano.
"Amico ho sete, dell'acqua."
L'uomo di ferro abbassò lo sguardo, chi gli stava parlando era un uomo in farsetto verde lacerato e sporco, probabilmente un abitante della città. Aveva un moncherino alla posto della gamba destra, poco sotto l'inguine aveva una fasciature completamente inzuppata di sangue.
"Amico ho sete, dell'acqua ti prego"
Fardek lo fissò in volto, lo sguardo del l'altro era perso nel vuoto.
Poi estrasse la fiaschetta di liquore che aveva nella casacca e l'accosto all'uomo che bevve avidamente.
"Grazie dell'acqua," gli sorrise e poi fu preso da un attacco di tosse e la sua bocca gli si riempì di sangue. Sputò e riprese a parlare, "vivo accanto al mercato, quando mi sarò rimesso sarai mio ospite."
"Bene amico, contaci" rispose Fardek, mentre il suo interlocutore perdeva i sensi.
Il volto del suo compagno era piagato, di un rosso vivo, un liquido ambrato ricopriva la superficie. Non aveva più sopracigli ne capelli. Anche il resto del corpo era ustionato, in alcuni punti la stoffa del abito non era stato rimossa per evitare di strappare la carne viva.
L'uomo passava dalla coscienza all'incoscienza, delirava, ogni suo respiro era una sofferenza.
Fardek gli si sedette accanto. "Cos'è successo amico?"
L'uomo parve non sentirlo neppure, le orecchie erano moncherini neri di carne maciullata.
Fardek allora prese una sorsata dalla fiascetta del liquore e stesse seduto in silenzio per alcuni minuti accanto all'amico.
"...fuoco...fuoco..."
Questa era l'unica parola che ripeteva in maniera sensata quando era coscente.
Ferdek passo un'ora in quel luogo dando fondo all'intera riserva di alcol che aveva con sé.
Fermò un uomo che sembrava essere lì per assistere i malati.
"Ehi, cosa è successo a quest'uomo?"
Lui osservò l'uomo ustionato.
"E' un uomo di ferro di quelli che il fiume ha risputato fuori dopo che la loro nave ha preso fuoco. Quei bastardi dei cervi devono aver usato l'altofuoco, ho sentito dire che persino l'acqua bruciava."
Fardek sputò per terrà. "Io odiò l'altofuoco.."
Poi tornò a rivolgersi all'uomo afferrandolo per un braccio mentre questo si stava già dirigendo verso un altro ferito.
"Sopravviverà il mio amico?" domandò l'uomo di ferro.
"Certo..." rispose l'altro che sembrava scocciato "...fino a sera magari" aggiunse poi strattondosi via dalla presa.
Fardek allora fissò l'amico, poi estrasse il proprio pugnale e lo appoggiò sotto il plesso solare del uomo ustionato, spinse con decisione spaccandogli il cuore.
"Ciò che è morto non muoia mai" sussurrò a voce bassa mentre una lacrima gli scendeva calda sulla guancia destra.
La battaglia infuriava. I caduti erano innumerevoli da entrambe le parti.
Ogni secondo che passava, Dayne si rendeva conto di quanto fosse importante quella singola battaglia per l'intera guerra.
Dall'arrivo sul campo delle nuove forze Baratheon gli equilibri della battaglia erano tornati a favore degli assedianti.
Ser Arthur aveva dovuto lasciare la mazza ferrata incastrata nella spalla di chissà quale uomo e ora combatteva con Alba in pugno. La sua lama bianca era ricoperta di sangue in varie sfumature di rosso, da quello più secco a quello più fresco.
Aerys e Robert sembravano cercarsi e rincorrersi all'interno della marea dello scontro. Ma quello scontro era un mare in tempesta e le onde li facevano avvicinare e allontanare in modo incontrollato. Finora non erano ancora riusciti ad incrociare le loro lame, ma i due si stavano avvicinando sempre di più e Dayne sapeva che ormai era questione di tempo.
Un uomo dei Baratheon si stava distinguendo. Dayne non conosceva il suo nome, ma aveva un ampio ventre a botte, braccia muscolose e un collo da toro possente.
Si stava aprendo la strada verso Aerys. Dayne si mise sulla sua strada. Prima di arrivare al Re avrebbe docuto scontrarsi contro di lui.
Quell'uomo abbatté un uomo dei Tyrell e si ritrovò di fronte alla Spada dell'Alba.
"La Spada dell'Alba? Per me? AH! Troppa Grazia!"
L'omone battè il pugno contro la massiccia piastra pettorale "non voglio la vostra pelle, Ser, voi siete un uomo d'onore"
"Non conosco il vostro nome. Ma al momento siamo su schieramenti opposti in questa battaglia.
Se ne aveste la possibilità vi aprireste la strada verso il Re e lo uccidereste. Tanto mi basta per cercare di impedirvelo."
"Dite? Il vostro Re deve preoccuparsi di Lord Robert, cavaliere. È lui che il sovrano ha tradito, io sono solo un umile fabbro"
Donal Noye porta indietro le spalle, sistemandosi la piastra pettorale con le grosse dita. "Perchè lo avete fatto? È stata una vigliaccata"
"Credo, Donal Noye, che questo non sia né il luogo né il momento più adatto per fare della diplomazia.
Voi siete un semplice fabbro, dite. Io sono un cavaliere della Guardia Reale. Nessuno di noi due ha il potere di fermare ciò che sta accadendo."
Dayne spronò il cavallo per andargli incontro.
"AH" Donal Noye si abbassò la celata sugli occhi e fece ruotare il polso che reggeva la mazza ferrata. "Un peccato che uomini ragionevoli debbano morire per una guerra senza senso" e queste furono le sue ultime parole prima di dar di sprone e avventarsi sul suo avversario.
I cavalli da guerra vengono addestrati per partecipare attivamente allo scontro dei loro padroni, sbuffando, mordendo e scalciando. Quello che avrebbe fatto un vero cavaliere era esattamente questo: sfruttare i ben noti vantaggi dati dall'essere in groppa ad un cavallo ben addestrato.
Tuttavia Donal Noye era tutto tranne che un cavaliere, quindi caricò in modo abbastanza bovino e ignorante Ser Arthur Dayne.
Il fabbro aveva messo in conto che il cavallo avrebbe pensato a salvarsi la pelle piuttosto che incontrare la punta di Alba che a questo punto costituiva un mostruoso vantaggio, anche in termini di allungo, per il cavaliere in bianco.
Si può dire che Ser Arthur fu moderatamente stupito quando il cavallo di Donal gli mosse incontro senza avanzare per affiancare il suo, com'era uso. Tecnicamente, la mossa corretta era puntare la punta della sua spada verso l'avversario, così che cavallo e cavaliere deviassero la propria corsa.
E invece, ripreso fermo controllo della bestia all'ultimo secondo, Donal Noye la mandò a piantarsi direttamente su Alba. I versi che emise il cavallo furono orribili, mentre si impennava diventando un unico vortice di calci e violenza.
La famigerata Spada Bianca avrebbe trapassato il cavallo senza pensieri: lo avrebbe letteralmente aperto in due con un colpo correttamente caricato ma quella era stato un infilzo scomodo, da volgare spiedo, e Noye era un GRANDIOSO figlio di baldracca.
I cavalli si rovesciarono portando con sé Alba e Cavalieri. Un bel casino!
Dopo qualche istante, la Ser Arthur si liberò dalla sua bestia non sapendo se cosa l'avesse stordita o uccisa. Il cavallo di Donal Noye continuava a soffrire in modo orribile a qualche passo dal Cavaliere Bianco, con un infame squarcio sanguinolento grondante interiora provocato dalla terrificante torsione che Alba aveva causato durante il tafferuglio.
Avrebbe continuato a soffrire un altro po' se un fischio e un tonfo assai preoccupanti non lo avessero freddato sul posto.
"Alzati." disse Noye sporco di sangue e merda, con lo sguardo da Folle sotto la celata, "Prendi la tua Spada", continuò, mentre con la mano sinistra impugnava un'ascia dalla lama ricurva.
Pronti a un altro passo di Danza,i contendenti, scossi ma pressochè illesi, ingaggiarono nuovamente battaglia.
"Ho perso lo scudo" si lamentò il fabbro mentre portava Alba fuori dalla sua figura, ancorandola con l'ascia.
Il colpo di rientro gli aprì la piastra del cosciale destro mentre, con cura meticolosa, la sua mazza percuoteva selvaggiamente il Cavaliere Bianco. Fosse stata una spada normale, quella di Ser Arthur, la vittoria sarebbe potuta essere di un umile, seppur gigantesco, fabbro della Tempesta.
Invece, la Lama di Alba gli portò via il braccio sinistro e l'ascia, ma non la violenza.
Non la furia.
Il suo corpo enorme travolse quello del Cavaliere Bianco spedendolo in un mondo di oscurità, dolore e sangue.
Dayne aveva sottovalutato il suo avversario.
Errore da principiante. Che io sia dannato.
Donal Noye aveva chiamato se stesso un "umile fabbro". Umile lo era di certo, dato che avrebbe potuto tranquillamente dichiararsi come "valente guerriero".
Quello che stava combattendo con quell'uomo non era un duello di cui avrebbero cantato i menestrelli. Era il lato più brutale e reale della guerra. E di solito non finiva nelle canzoni. Non toccava le menti dei giovani cavalieri che sognavano la gloria della battaglia. Ma ser Arthur Dayne non era più un giovane cavaliere e quella non era la sua prima battaglia. Aveva già ballato prima sulle note di quella musica, per cui avrebbe risposto a Noye colpo su colpo.
Alba aveva troncato di netto il braccio sinistro del fabbro, ma questo non l'aveva affatto fermato. Anzi, pareva avergli dato ulteriore forza e violenza.
Spinse in avanti il moncherino e un fiotto di sangue inondò l'elmo della Spada dell'Alba.
Per questo motivo non vide Noye gettarglisi addosso, ma lo sentì. Sentì tutto il suo peso e tutta la sua forza che lo spingeva a terra.
Pestò con la schiena e una fiammata di dolore gli percorse tutta la schiena.
Per fortuna non aveva perso la presa di Alba, ma non poteva vedere e non aveva lo spazio per mulinarla come avrebbe voluto.
Con la mano sinistra guantata d'acciaio provò a sferrare un pugno, ma andò a vuoto.
Donal ricambiò, trovando il bersaglio senza problemi.
Il destro del fabbro gli fece vibrare tutto l'elmo, ma fece schizzare via dalla celata quel tanto che bastava di sangue e fango perché Arthur intravedesse l'obiettivo.
Questa volta mosse il destro e colpì Noye con l'impugnatura di Alba.
Donal rotolò di lato e Arthur ebbe il tempo di rialzarsi.
Sapeva che lo scontro era tutt'altro che finito.
Il fabbro gli aveva a malapena lasciato il tempo di rialzarsi.
Era come se Dayne fosse una lama d'acciaio che Noye dovesse battere e battere sull'incudine fino a piegarlo secondo la propria volontà.
Noye gli si lanciò addosso, riducendo lo scontro a un corpo a corpo. A quella distanza ravvicinata Alba era pressoché inutile.
Si scambiarono pugni guantati di acciaio. Ogni pugno di Noye era meno forte del precedente. Dal braccio mozzato continuava a perdere sangue ed era già un miracolo che quell'uomo riuscisse a reggersi ancora in piedi.
Avvinghiati l'uno all'altro, a meno di un piedi di distanza l'uno dall'altro, Noye tirò indietro la testa e l'abbasso con forza, tirando una testata a Dayne.
Il rumore dell'acciaio contro l'acciaio riempì le orecchie di ser Arthur come se nel mondo non ci fosse più nient'altro suono.
Entrambi gli avversari barcollarono all'indietro. Noye cadde in ginocchio.
La testata aveva ammaccato l'elmo di Dayne e ora si ritrovava con una visuale ridotta.
Ser Arthur sapeva che era da sciocchi togliersi l'elmo sul campo di battaglia. Solo nelle ballate i cavalieri combattevano con i capelli al vento. Ma sarebbe stato ancora più da sciocco passare il resto della battaglia a combattere praticamente alla cieca.
Slacciò la stringa di cuoio sotto il mento e si levò l'elmo. I capelli erano impiastrati di sangue e sudore, e nonostante tutto fu piacevole sentire un po' di aria fresca direttamente sul viso.
Vide che il fabbro veniva soccorso da uno degli uomini Baratheon. Dayne lo ignorò. Aveva combattuto bene e con un po' di fortuna in più, avrebbe potuto raccontare ai suoi nipoti di quando aveva ucciso in battaglia la Spada dell'Alba.
Dayne cercò con lo sguardo il Re. Lo vide combattere poco lontano. Era ancora a cavallo.
Un soldato Baratheon, forse vedendolo senza elmo e pensando di avere gioco facile, si lanciò contro di lui, spada in pugno, mirando alla testa.
Dayne fece un profondo respiro. Deviò la lama del soldato con Alba e con un colpo ascendente si aprì la strada tra cuoio, stoffa e pelle sulla gamba destra dell'uomo, che rovinò a terra urlando.
Dayne si lasciò alle spalle anche quest'altro soldato e iniziò ad aprirsi la strada verso Aerys.
Il suo posto era di fianco al Re.
I tonfi sordi del martello di guerra si mischiavano sul campo di battaglia alle grida di chi aveva avute le membra spappolate ed al gorgolio secco della morte.
Era diventata ormai quasi un'abitudine e quella guerra in cui era stato trascinato suo malgrado dagli intrighi di Lord Tyrell e dall'empietà di suo zio, il Re folle, cominciava sempre di più a piacergli.
Certo, ormai le terre della tempesta erano perdute, anche se in realtà lo erano dal momento in cui casa Targaryen s'era allineata alle politiche della rosa dorata; ma dopotutto questo fatto gli aveva permesso finalmente di sgravarsi delle attività di governo per dedicarsi alle uniche due occupazioni in cui eccellesse: il sesso e la pugna.
E così ogni giorno, oramai da quasi una luna, si ripeteva ciclico sempre col proprio martello in mano tra una carica di cavalleria e il rinfrancante abbraccio di una mignotta. Sì, colpire i Tyrell presso la loro capitale era stato un atto temerario, ma da questa scommessa rischiosissima dipendeva il futuro della guerra e forse dei sette regni: strappando i fiori più belli dell'Altopiano, certamente Mace Tyrell non avrebbe potuto proseguire il suo cammino egemonico.
Già da alcuni giorni gli era capitato di scorgere non molto lontano Aerys con la sua lussuosa armatura, ma aveva sempre evitato di andargli incontro, lasciandosi invece trascinare dalla foga degli scontri ravvicinati. Per il momento preferiva ancora concentrarsi con l'antipasto, in attesa di concludere la guerra con una martellata o con la richiesta di pietà....
L'arrivo di forze fresche Baratheon e Martell aveva inevitabilmente indirizzato l'esito dello scontro.
Considerata la consistenza delle forze ancora asserragliate nel maniero la sconfitta non era un'opzione che potesse realizzarsi.
Le forze nemiche fuori da Alto Giardino e quelle presenti dentro Alto Giardino quasi si equivalevano, ragion per cui mai gli assedianti sarebbero riusciti con le proprie loro forze a scardinare quelle mura.
D'altro canto, neanche al Re e ai suoi alleati sarebbe stato possibile risolvere la battaglia in campo aperto.
A questo punto davanti agli occhi del Re si spalancavano due possibilità: resistere a oltranza all'interno di Alto Giardino, lasciando che i ribelli facessero man bassa di vettovaglie e materie prime in tutto l'Altopiano, oppure effettuare una ritirata strategica che trasformasse una finta conquista in una trappola mortale.
Osservò i Cavalieri Baratheon seminare strage fra le fila dei Tyrell, osservò il numero dei suoi Cavalieri assottigliarsi sempre di più, pensò che quel giorno un altro Targaryen avrebbe forse considerato il momento ottimo per morire. Magari avrebbe fronteggiato Robert, un uomo più giovane, più forte e, in quella piana, con dieci volte i suoi cavalieri a dargli supporto. Magari un Targaryen più incline alla sconfitta gli si sarebbe comunque avventato contro, cercando la gloria e la morte. Lui non lo era, non lo era mai stato. La vittoria era in suo pugno, bisognava solo saper attendere ancora qualche giorno.
Che i ribelli assaporassero pure quel momento di gloria, presto le possenti mura di Alto Giardino sarebbero divenute la loro tomba.
La battaglia era perduta.
Sulla città sarebbero presto sventolati i vessilli del Cervo e del Sole. Alto Giardino era caduta. E con lei erano caduti anche innumerevoli uomini.
Ci sarebbe stato il tempo per analizzare la situazione generale e capire il da farsi. Ma non in quel momento.
In quegli istanti la priorità di Ser Arthur Dayne era mettere in salvo il Re. Impedire che cadesse prigioniero in mano nemica. Proteggerlo anche a costo della propria vita.
Un soldato Baratheon si era avvicinato alle spalle di Aerys. Stava per colpirlo con un fendente, ma Dayne intercettò il colpo con Alba e gli aprì la gola prima che l'uomo si rendesse conto di cosa fosse successo.
Dayne si guardò intorno. Vide un cavallo dal pelo castano vagare inquieto senza cavaliere.
Si avvicinò e ne prese saldamente le redini.
"Buono adesso." sussurrò mentre saliva in sella. Non era il suo cavallo, ma era un buon animale e soprattutto, non era ferito.
Diede di speroni e si portò a fianco di Aerys.
"Maestà, non possiamo più restare qui. Dobbiamo andarcene."
Aerys incrociò lo sguardo della sua spada giurata per un lungo momento. Poi annuì grevemente.
Dayne si aprì una strada tra i nemici, per portare al sicuro il Re.
La lama di Alba, bianca come latte all'inizio della battaglia, ora era completamente rossa.
E prima di poter mettere al sicuro il sovrano, la spada avrebbe bevuto altro sangue.
"Ser Arthur vi siete battuto come un leone oggi."
Aerys sorrideva. L'estrema e folle resistenza dei suoi avversari lo eccitava, come un cinghiale che si dibatteva fino allo stremo delle sue forze per sfuggire alla lancia del cacciatore.
"Lord Lannister e Lord Baratheon sono i migliori avversari che avrete modo di incontrare nella vostra vita, presumibilmente. Assaporate appieno questa sconfitta, vi renderà più dolce il sapore dell'imminente vittoria."
Aerys voltò il cavallo, radunando i suoi cavalieri.
"A me, uomini! Cediamo il campo ai ostri valorosi nemici. Lasciamo che bevano, che amino e che si riempiano le pance pensando alla loro vittoria, i nostri fratelli ci attendono a poche leghe da qui. Stasera ci riuniremo a loro da fuggitivi, domani torneremo su questo campo per riprenderci ciò che è nostro."
Fardek era nella cantina insieme a molti altri, si teneva sul fondo della sala, nella penombra. La gamba era oramai solo un fastidio, un fastidio che lo rendeva claudicante certo, ma che non gli avrebbe impedito di combattere.
La sala era fumosa, c'era il brusio costante che si sente nel scuole o nelle chiese di quando troppa gente ha voglia di parlare anche quando dovrebbe fare silenzio e ascoltare.
C'erano soldati dell'esercito sconfitto, c'erano poveri e mendicanti, c'erano cittadini che temevano per il loro futuro e c'erano molti fanatici sparsi qui e là nei punti giusti della piccola folla.
"Amici, fratelli non possiamo certo accettare quello che il destino ha scelto per noi." disse l'oratore che era salito in piedi su di una sedia e si era messo a parlare a gran voce "i nobili e i ricchi non sono stati in grado di salvare le vostre case dall'invasore, hanno combattuto e hanno perso. Il Re è fuggito come un cane con la coda tra le gambe quando ha visto messa in pericolo la sua vita fregandosi di Altogiardino."
Alcuni dei presenti scossero la testa, ma subito qualcuno grido "Bravo hai ragione" aizzando la folla.
"Ecco un altro di quei buffoni della fratellanza" pensò Fardek gettando uno sguardo verso il giovane che aveva lanciato l'applauso. L'uomo di ferro aveva già ascoltato quelle parole nell'arcipelago prima di partire, erano parole di rivolta e di complotto, erano parole di ribelione e di congiura, erano le parole del "Buon padre" della "Fratellanza senza vessilli"
"Lord Tyrell che fa? si ingrassa ad Approdo come un maiale. Lo avete visto forse arrivare con il suo petaloso cavallo alla testa dei uno squadrone di cavalieri per salvare la città? Lo avete visto piangere e sanguinare per la sua città , per la sua gente?"
"No" gridò dalla folla una donna.
"No, sorella non c'era," riprese l'oratore indicandola "Non dei nobili è questa città, non dei nobili sono case, attività e vite. Siamo noi fratelli, il popolo che deve unirsi e combattere l'oppressori. Stanotte mostreremo agli invasori che le spine della rosa di Altogiardino sono il suo popolo. Combattiamo l'invasore già stremato, combattiamo il cervo e il doriano, difendiamo le nostre case e le nostre vite. Fratelli impugniamo spade e lance, archi e balestre e combattiamo nelle strade, nei vicoli e nelle case, che il sangue nemico bagni la rosa dei Altogiardino. Come in questa cantina, in altre cento di questa città c'è gente, ci sono uomini e donne valorosi pronti a combattere, pronti a vincere, perché nostra sara la vittoria, nostra sara la città e la gloria."
La folla esplose in un urlo di giubilo.
"Moriranno come degli scemi" Pensò Fardek guardando la gente che si dava pacche sulle spalle e si abbracciava festeggiando la vittoria di una battaglia non ancora combattuta. " moriranno tutti e lo faranno per un cazzo. Loro pensano di andare a trucidare soldati feriti e indifesi, ma dopo tutto questo assedio i vincitori sono carichi di adrenalina e distruggeranno questa città macellano tutti quelli che gli si oppongono, tutti quelli che si metteranno tra loro e il loro trofeo, ma non solo ammazzeranno chi cazzo gli pare, stupreranno, saccheggeranno e daranno fuoco a meta di questa fottuta città e poi vedremo se la rosa di Altogiardino profumerà ancora. Ai Baratheon e ai Martell fotte un cazzo di sto buco, lo hanno preso per fare un dispetto al Tyrell, e come gli avessero pisciato sulle scarpe nuove. Quelli se sono furbi faranno quello che vogliono per un paio di giorni e poi se ne andranno spronando i cavalli e lasciando una montagna di sterco dietro di loro e questi coglioni chi ho davanti non faranno che ingrossare quella montagna."
Fardek si fece largo tra la folla, salì le scale rientrando nella taverna, ordinò una birra e spese una della ultime monete estraendola dalla taschino della camicia che aveva recuperato la sera precedente da una casa del quartiere, quando ormai la battaglia era persa e la divisa dei Greyjoy non avrebbe portato altro che problemi. Si massaggiò la gamba, avrebbe combattuto, ma non questa notte.


Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

Ed ora sono.... Il Buon Padre





Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
19/09/2017 07:10
 
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La terza battaglia di Altogiardino
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Dopo la sconfitta nella battaglia precedente, gli uomini si erano riposati e avevano ripreso le forze.

A Nightsong si erano uniti alle forze fresche Targaryen che da Approdo del Re erano scese sempre più a sud a conquistare le Terre della Tempesta, lasciate praticamente sguarnite dagli uomini Baratheon per combattere la guerra nell'Altopiano.

Aerys aveva deciso di cavalcare in prima linea, nella sua lucente armatura nera.
Dayne era immediatamente alla sua destra, il lungo mantello bianco si agitava nel vento di quella giornata nuvolosa.
Sembrava che anche il cielo comprendesse l'importanza di quel momento. Le nubi scure che si ammassavano e cambiavano forma ad ogni istante contribuivano a rendere quel momento carico di tensione.
I rumori sembravano ovattati. Perfino il grande esercito che si muoveva alle loro spalle sembrava fare meno rumore di quanto ci si sarebbe aspettati.

Arrivarono in vista della città. Sulle mura sventolava il cervo incoronato dei Baratheon, nero in campo oro.
Gli esploratori li avevano avvisati che gran parte dell'esercito rimasto dopo la seconda battaglia di Altogiardino si era mosso verso nord.
Ben presto avrebbero scoperto quante forze aveva effettivamente lasciato Lord Robert a presidiare la città.

L'esercito si schierò e Aerys fece suonare i corni.

"Uahhh uahhh!"
"Uahhh uahhh!"

Il suono del corno di guerra attraversò tutta la città come il rombo di un tuono.
Il Re era tornato, ed era venuto a reclamare la città.

Fardek sedeva in pizzo al letto dopo essersi alzato per andare a svuotare la vescica . Aveva occupato una casa lasciata vuota da qualche soldato che era morto nel tentativo di reggere all'assalto del cervo e che quasi per miracolo era sopravvissuta ai saccheggi e agli incendi. L'esercito invasore dopo aver macellato la resistenza capitanata dalla Fratellanza Senza Vessilli, aveva fatto ciò che voleva della città per un paio di giorni e poi se ne era andato verso Nord, proprio come lui aveva predetto.
Ora in città erano rimaste due fazioni ben distinte: i lealisti pronti ad accogliere il ritorno della famiglia Tyrell, una famiglia che non aveva combattuto in prima persona per la propria città, ma che godeva ancora di rispetto e di stima presso la popolazione.
E quella degli infami che avevano accolto il cervo come nuovo Lord e che ora reggevano la città. Questi ultimi probabilmente sarebbero morti in campo organizzando una misera resistenza contro il ritorno del drago o che sarebbero stati uccisi nei loro letti o impiccati ad una forca appena la battaglia sarebbe giunta al termine dai loro stesi concittadini.

A Fardek iniziava a piacere questa città, ci giravano soldi e buon vino, e anche le donne delle terre verdi non erano male, un po' graciline forse, ma graziose. Aveva deciso che quella mattina l'avrebbe passata a letto, poi magari dopo aver mangiato un boccone sarebbe andato a bighellonare per le vie del porto, ben lontano dalle mure e dalla battaglia che era certo non sarebbe arrivata al tramonto.

Si stiracchiò e si rimise sdraiato a fissare il soffitto mentre sentiva le voci e il brulicare di gente provenire dall'esterno in una crescente eccitazione. In breve il sonno il torpore del dormiveglia soggiunse mescolando sogni e realtà e cullandolo dolcemente verso un sonno profondo.

Lord Tarly radunò tutti i comandanti e disse loro di setacciare tutta la città, casa per casa, senza lasciare il minimo spiraglio di fuga ad eventuali spie nemiche rimaste in loco. "Radunate tutti quelli che non sono di Altogiardino ...Passate a fil di spada quelli che tra questi non hanno un motivo più che valido per rimanere qui. Passate a fil di spada anche i popolani superstiti che hanno difeso quella bandiera del cazzo". Disse indicando lo stendardo Baratheon. Dopo di che passo davanti al Re, per recarsi alle porte della citta, facendo un inchino col capo.

La porta della casa si aprì di schianto, Fardek che stava facendo bollire due uova in una piccola ciotola di metallo si voltò colto di sorpresa.
Due soldati con il farsetto verde entrarono in casa uno dei due portava una picca, l'altro impugnava la spada. Fardek mostrò le mani sollevandole con i palmi rivolti verso di loro.
"Tu non mi sembri di queste parti", disse quello alto e allampanato come l'arma che portava in pugno.
"Vieni fuori senza fare storie, seguici in piazza, verrai giudicato per aver saccheggiato e preso possesso di questa casa e poi verrai impiccato." il ragazzo che reggeva la spada aveva uno sguardo sadico, ma la faccia ancora butterata dall'acne giovanile, anche il suo compagno non aveva neppure l'ombra di una barba.
"Hanno mandato a fare due ragazzini a fare un lavoro da uomini" sorrise tra sé e sé Fardek "Ora mi diverto."
Non era solito cercare guai quando non erano i guai a cercare lui, ma quel giorno aveva indugiato troppo nella locanda ed ora era allegro e aveva voglia di una scazzottata.
Fardek abbassò lentamente le mani, poi si sciolse i lacci dei pantaloni e iniziò a pisciare sul pavimento facendo compiere un semicerchio alla propria urina davanti ai piedi dei nuovi venuti che lo fissavano stupiti ed imbambolati.
"Ecco ora che ho segnato il mio territorio reclamo come mia questa casa, ah ah ah " disse in tono irriverente ricomponendosi le vesti.
"Fottuto ubriacone..." il ragazzo con la picca lo caricò partendo a testa bassa come un toro, Fardek scarto di alto schivando l'assalto afferrò la picca e ruotando con il tronco spinse il giovane contro il muro. Lo scontro fece mollare al soldato la propria arma e lo fece ruzzolare a terra. Quello con la spada si mosse rapido, ma scivolò sulla chiazza di pisciò, riusci a rimanere in equilibrio ma tanto bastò perché Fardek lo colpì con il manico della lancia dietro il ginocchio facendolo cadere a terra sul pavimento bagnato.
L'uomo di ferro fece roteare la picca e puntò la punta alla gola del ragazzino brufoloso.
"Io sono Fardek e sono un uomo di ferro, ho combattuto per difendere questa città quando voi eravate occupati ad allenarvi per la guerra. Il cervo non lo avete battuto voi ora, ma era già sconfitto quando è entrato in città. Sono stati gli uomini che hanno versato il sangue fuori da queste fottute mura che lo hanno sconfitto, uomini che hanno visto morire i propri amici feriti a morte o bruciati vivi a vincere questa battaglia e io sono uno di quelli. Perciò se non vuoi che questa lancia te la infilo su per il culo a te e al tuo amico lì, lasciatemi in pace e fuori dalla mia casa"
Così dicendo lanciò la lancia al ragazzo allampanato che la prese al volo e la rivolse tremando verso Fardek.
"Fuori!!!!" Gridò lui allargando le braccia con fare minaccioso, il ragazzo si tirò su in fretta e furia incespicando con la picca poi aiutò il compagno a sollevarsi e corsero fuori dalla casa.

Fardek mise uno sgabello al centro della stanza, prese le uova e si sedette in direzione della porta sgusciandole con calma e gettando i gusci direttamente sul pavimento.
Si era divertito, ma ora iniziavano i guai, i pivellini sarebbero andati a piagnucolare dal loro superiore e allora sarebbero arrivati dei soldati veri.

Passarono almeno un paio d'ore quando sulla porta risuonarono un paio di colpi, decisi ma cadenzati da una insolita flemma. La pprta si apri.
Randyll tarly vide delle uova sparse sul pavimento insieme ad una chiazza di bagnato che dal racconto dei due armigeri doveva essere piscio. Quello che si faceva chiamare Fardek o perlomeno aveva detto di esserlo era seduto braccia incrociate con un sorriso sardonico stampato sul volto.
"Buongiorno Ser Fardek. Io sono Randyll di casa Tarly. Vengo a porgervi i miei più sinceri ringraziamenti per aver contribuito alla salvezza di questa città". Detto questo fece un mezzo inchino e si voltò per uscire ma sulla porta si trattenne e mezzo voltandosi aggiunse "Ora brutto bastardo figlio di puttana pulisci dal piscio e dal tuo pranzo quel pavimento del cazzo poi esci e senza che io o nessun altro possiamo sentire la tua voce temprata dalla merda e dal sale che per una vita hai mangiato ti farai scortare al porticciolo dove ci sta una nave lunga con qualche tuo lord e sparirai da questa Città. La casa è circondata da 100 armigeri ...dimmi che fai il testa di cazzo quale sei e non esci e ti brucio dentro e sto pure a guardare... dimmi che fai il testa di cazzo quale sei e quando esci lo fai armato e ti faccio buttare nello spezzatino che daremo ai tuoi compagni stasera... dimmi che fai la testa di cazzo quale sei e non pulisci e ti stacco quella testa di cazzo quale è e ci ficco una picca e uso i tuoi capelli come spazzolone.
Spero ci siamo intesi testa di cazzo" chiuse dietro di se la porta e lasciò Fardek alle sue decisioni.

All'inzio Fardek aveva pensato si trattasse di un pallone gonfiato, uno come i tanti che era venuto a fare la voce grossa per cercare di spaventalo, ma poi aveva posato gli occhi sulla spada che penzolava sul fianco del cavaliere. Il modo in cui rifletteva la luce era inconfondibile, acciaio di Valyria, quella doveva essere Veleno del Cuore e quindi l'uomo che sbraitava e che lo insultava doveva essere davvero chi diceva di essere.
Fardek non prestava molta attenzione alle sue parole perdendosi nei suoi pensieri, aveva capito che doveva lasciare la città quello si, ma il resto: gli insulti e le minacce se li era fatti scivolare addosso.
Una volta che il suo ospite aveva lasciato la casa Fardek si era alzato dalla sedia, aveva preso il lenzuolo del letto e lo aveva buttato sul pavimento per per asciugare il piscio, poi aveva alzato il materasso, e come nei più comuni stereotipi, aveva raccolto le sette monete d'argento e le due d'oro che aveva trovato bighellonando per la città tra una casa vuota e l'altra. Il proprio bottino contava anche 13 posate d'argento che teneva avvolti in un panno nascosto nella canna del camino. Prese anche quelle e le infilò nella propria sacca. Con una scopa spinse il lenzuolo nel camino, la stessa fine fecero i gusci delle uova.
Si voltoò per un istante prima di uscire di casa.
"Sono proprio dei damerini questi Tyrell, la rosa è il simbolo perfetto per loro, tu pensa? Un alto Lord e cento armigeri per stanare una piovra dalla sua tana. Tutta scena, tutto per fare bella impressione, tutta apparenza. Uno schieramento tale manco fossi il capitano dell "spettro dell Nebbie"...sono proprio dei guitti. con questi pensieri usci dalla casa.
La luce del sole lo colpi in volto.
Quando sentì ordinare a cinquanta uomini di scortarlo al porto un sorriso apparse sulle sue labbra, "guitti" pensò.

Al tramonto Fardek stava veleggiando verso Lannisport su di una nave un tempo appartenuta a casata Martell che si chiamava "Rosa del deserto. Fardek trovò divertente questa coincidenza.
[Modificato da Mance 19/09/2017 07:10]


Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

Ed ora sono.... Il Buon Padre





Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
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